Massimo Scura, commissario per l’emergenza sanitaria in Calabria, accusa la politica di voler condizionare le sue scelte. Il governatore della Calabria Mario Oliverio, esponente del Pd, accusa il commissario Scura di non rispettare il diritto dei calabresi a una assistenza sanitaria in linea con gli standard del Paese. Carlo Guccione, assessore prediletto del governatore, accusa il commissario Scura di essersi spinto ove «neanche Scopelliti aveva osato». Ernesto Magorno, segretario regionale del Pd, imita Battisti, strimpella in direzione regionale «io vorrei, non vorrei… ma se vuoi… » e sta un giorno con Scura, l’altro con Guccione, e l’altro ancora con Oliverio. Il risultato di tutti questi giri di valzer porge la prova provata che la politica, ieri come oggi, usa la sanità per i propri comodi e non già per curare i cittadini.
La politica usa la sanità per mantenere in vita baronati come quelli incarnati dal muratore (in pensione ma non pensionato…) Giulio Carpentieri, che resta lì dove sua moglie ha appaltato e dove suo figlio opera, e non si sa bene chi lo impone. Non certo la meritocrazia e non certo Massimo Scura, arrivato da troppo poco tempo per essere già così compreso nell’arte muratoria reggina.
E la politica usa la sanità per blindare l’appartenenza e sostituirla alla meritocrazia. Come spiegare diversamente il tentativo di chiudere strutture efficienti per favorire quelle che stanno a cuore del potentato politico. Specialmente se il cuore è quello del vicepresidente della Regione Calabria Vincenzo Ciconte? Non è così? Allora provino a spiegare alcuni delicati passaggi del provvedimento di riorganizzazione della Rete dell’emergenza-urgenza, contenuto nella più generale riorganizzazione contenuta nel Dca n.9 del 2/4/2015. Tale atto è, sostanzialmente, la tardiva emanazione di un provvedimento la cui genesi è tutta da ricondurre alla precedente fase gestionale; ne è prova il cronoprogramma accluso che reca come data del primo step quella del 30 aprile 2014.
Nella parte introduttiva del programma si illustra la situazione attuale che vede sostanzialmente attive in Regione solo quattro strutture che operano già nel rispetto degli standard minimi di qualità (400 angioplastiche/anno), due oltre la soglia dei 600 casi definita “preferibile”.
Inspiegabilmente una delle due strutture che, da quindici anni rende un’attività quantificata oltre 800 casi/anno, dotata di due sale di emodinamica e una sala ibrida, che si avvale di un servizio di cardiochirurgia, anch’esso con elevati volumi (circa 750 casi/anno), unico in Calabria che superi il limite minimo di sicurezza fissato da norme ministeriali in 500 casi/anno, inspiegabilmente invece, tale struttura è stata esclusa dalla partecipazione alla Rete.
L’esclusione quindi, prima che colpire la struttura in parola, colpisce gravemente la sicurezza dei pazienti calabresi che non troverebbero più adeguato trattamento terapeutico in un delicatissimo settore quale è quello dell’insorgenza di un infarto in fase acuta; seguendo pedissequamente le nuove linee di indirizzo, e riferendoci al solo ultimo anno 2014, i duecentocinquanta pazienti calabresi giunti da tutta la Regione in urgenza-emergenza che hanno potuto beneficiare di un’angioplastica di salvataggio, dovranno invece attendere che altri laboratori di emodinamica appena attivati ma già inseriti nella Rete, «raggiungano i predetti standard operativi per l’effettuazione dell’angioplastica primaria».
Tale esclusione, inoltre, determina un potenziale sovraccarico di lavoro cui potrebbero essere costretti alcuni altri servizi già operanti in Regione, sovraccarico cui si intenderebbe sopperire con altra pericolosissima iniziativa (forse già in atto) secondo la quale il paziente appena sottoposto ad intervento cardiologico interventistico potrebbe essere “restituito” all’ospedale inviante per il successivo decorso post operatorio e quindi senza nessuna copertura riguardo possibili, non infrequenti, complicanze.
Oltre che per la sicurezza dei pazienti, la procedura risulta dannosa anche sotto il profilo erariale: poiché, evidentemente, ha già determinato una doppia remunerazione, il documento contiene la previsione dell’individuazione di una nuova tariffazione regionale finalizzata, appunto, «a prevenire una doppia remunerazione». E va a farsi benedire, insieme alla trasparenza e alla continenza della spessa, anche quel «rispetto dei territori» che tanti decibel assomma negli annunci del governatore Mario Oliverio, perchè non può tacersi la peculiare distribuzione territoriale che vede in una sola sede geografica ben tre laboratori: quello universitario con spiccata impronta autoreferenziale e promotore della “restituzione” dei pazienti; quello del Pugliese-Ciaccio fondato dal vicepresidente Ciconte e il terzo, che opera da prima dei suddetti due, con un volume di attività più completo e significativo, ma che sfugge a qualunque dirigismo politico-burocratico: pur considerato tutto questo, la collettività e i malati calabresi possono permettersi il lusso di rinunciare ai servizi resi da quest’ultimo? Quante risorse e quanti pazienti dovranno essere sacrificati a questo pernicioso dirigismo.
Di tutto questo, il “programma” costituirà pure un lascito ma è colpa degli odierni governanti il dargli oggi attuazione, confermando di fatto, una gestione, rivelatasi peraltro fallimentare sul piano dei servizi, che negli ultimi anni ha privilegiato spinte localistiche di mero carattere populistico, tutte orientate al soddisfacimento di interessi che solo nella migliore delle ipotesi sono personali e personalistici, e comunque totalmente avulse dal perseguimento dell’interesse pubblico: a dire il vero, confidavamo che tale stagione potesse essere definitivamente archiviata.
Chiarito tutto questo, proviamo a ribadire la nostra solita raccomandazione: qualcuno avverta Franco Iacucci, perché lo spieghi a Gaetano Pignanelli che sarebbe il caso di informare Mario Oliverio che la via politico-catanzarese alla sanità potrebbe riservagli sorprese e guai.
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