REGGIO CALABRIA Un’assoluzione, sostanziali riduzioni di pena e solo tre conferme. Se non è una spallata, di certo appare una decisa riforma della sentenza di primo grado, la sentenza emessa dalla Corte d’appello reggina a conclusione del secondo grado del procedimento Cartaruga, il procedimento con rito abbreviato scaturito dalle tre inchieste che nell’ultimo anno hanno colpito la cosca Caridi, federata, con le famiglie Borghetto e Zindato, e il più prestigioso e potente clan Libri, tutti radicati nella zona di San Giorgio Extra e Ciccarello di Reggio Calabria.
Esce assolto da ogni accusa a suo carico e dovrà essere scarcerato se non detenuto per altra causa quello che veniva considerato il boss del clan Caridi, Antonino, difeso dagli avvocati Carmelo Ielo e Giovanni De Stefano, in primo grado condannato a 16 anni di reclusione. Passa invece da dieci anni a sette anni e quattro mesi Giovanni Pangallo, zio materno dei fratelli Caridi, pizzicato nel circolo “Caccia sviluppo e territorio” – costante punto di incontro e riunione degli appartenenti alla cosca Caridi ma anche sede della segreteria politica dell’ex consigliere comunale Giuseppe Plutino, condannato in primo grado con rito ordinario a 12 anni – a commentare in dettaglio estorsioni già consumate o da perpetrare, con tanto di particolari sugli imprenditori da estorcere, le attività da infiltrare, l’ammontare delle somme di danaro da riscuotere a titolo di pizzo, le percentuali dello stesso. Scende da sei a quattro anni e otto mesi la pena inflitta a Domenico Antonio Laurendi,in primo grado condannato a sei anni di reclusione perché ritenuto il collettore delle estorsioni. Rivoluzionata è invece la condanna inflitta a Francesco Rosmini, considerato esponente apicale dell’omonimo clan, che passa da quindici anni e otto mesi a soli due anni e otto mesi. Tutte confermate invece le pene a carico di Carmelo Mandalari, condannato a sei anni e otto mesi come per l’anziano patriarca Bruno Rosmini e la giovanissima Luana, entrambi accusati di intestazione fittizia e per questo condannati a un anno e quattro mesi con pena sospesa
Le tre inchieste sfociate nell’omonimo procedimento, che ha visto oggi concludersi il secondo grado dell’abbreviato, hanno assestato un duro colpo alle ‘ndrine egemoni nel territorio compreso fra San Giorgio Extra e Ciccarello, già colpite dall’operazione che il 29 ottobre del 2010 che aveva portato a decine di arresti di affiliati dei medesimi clan.
Ed è proprio approfondendo quella pista che gli investigatori, coordinati dal pm Stefano Musolino, sono arrivati ai legami della cosca con la politica e con le istituzioni. E soprattutto con il consigliere Plutino la cui segreteria politica aveva sede proprio in quel circolo divenuto per gli inquirenti un’inestimabile miniera di conversazioni, intercettate e messe agli atti in una delle inchieste che ha pesato – e non poco – nella relazione che ha portato allo scioglimento del Comune.
Grazie alle cimici piazzate in quel circolo che gli investigatori hanno avuto modo di ascoltare non solo conversazioni che danno conto di estorsioni già avvenute o da compiere, ma soprattutto, le poco edificanti chiacchierate tra Giovanni Domenico Savio, collaboratore e consigliere politico di Plutino, e alcuni presunti affiliati sulle future deleghe dell’amministratore. Una prova schiacciante – secondo gli inquirenti – che dimostra come «gli incarichi eventualmente assunti in seno all’amministrazione comunale fossero di interesse della cosca».
Del resto – stando alle risultanze investigative – gli appartenenti alla cosca Caridi avevano profuso non poco impegno per l’elezione del politico “amico”, nonché parente di Domenico Condemi, uno degli esponenti di spicco del clan. Per la Procura, Plutino «forniva un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo alla cosca Caridi come referente politico del sodalizio, destinatario delle preferenze elettorali, ricevute sia dagli affiliati, sia da parte di terzi ma raccolti in suo favore dagli esponenti della cosca nel corso di varie consultazioni elettorali, con particolare riferimento a quelle per l’elezione del consiglio comunale di Reggio Calabria del maggio 2011, anche mediante sistemi di alterazione della libera competizione elettorale e di controllo della libertà di voto». In cambio dell’appoggio, la cosca pretendeva affari, appalti e favori, come l’assunzione in qualità di collaboratore temporaneo della struttura del gruppo consiliare del Pdl in consiglio regionale, Maria Cuzzola, nipote di Eugenio Borghetto.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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