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Processo Lanzino, le parti civili: giustizia per Roberta

COSENZA Piene di pathos le arringhe dei difensori di parte civile nel processo sulla morte di Roberta Lanzino, violentata e uccisa il 26 luglio del 1988 sulla strada di Falconara Albanese. Questa m…

Pubblicato il: 22/04/2015 – 13:48
Processo Lanzino, le parti civili: giustizia per Roberta

COSENZA Piene di pathos le arringhe dei difensori di parte civile nel processo sulla morte di Roberta Lanzino, violentata e uccisa il 26 luglio del 1988 sulla strada di Falconara Albanese. Questa mattina nell’aula della Corte d’assise si sono vissuti momenti di commozione nel ricostruire quella tragica giornata in cui la studentessa di Rende ha perso la vita mentre si stava recando al mare con il suo motorino. Per questo barbaro delitto sono imputati Franco Sansone e Luigi Carbone, quest’ultimo vittima di lupara bianca. Per la morte di Carbone sono accusati Franco Sansone, il padre Alfredo e il fratello Remo. La pubblica accusa – rappresentata dai pm della Procura di Paola Sonia Nuzzo e Maria Camodeca – nella scorsa udienza ha chiesto l’assoluzione di Franco Sansone per l’omicidio Lanzino. Ma hanno chiesto la condanna all’ergastolo per lui e per il padre per il delitto Carbone. Invece per Remo Sansone è stata invocata l’assoluzione. Nel corso del dibattimento è stata determinante la prova scientifica, venuta fuori a quasi trent’anni dal delitto della giovane. Gli uomini del Ris di Messina sono riusciti a isolare su un campione di terra, prelevato sotto il corpo di Roberta, il Dna degli assassini. Che però non appartiene né a Franco Sansone né a Luigi Carbone. Questa mattina è toccato per prima all’avvocato Raffaele Brescia, difensore della mamma di Carbone, fare la sua arringa nel corso della quale ha chiesto di condannare Alfredo e Franco Sansone per la morte di Luigi Carbone e l’assoluzione per Remo Sansone.
Ha cercato di celare la sua commozione l’avvocato Marina Pasqua, difensore del Centro Lanzino che si è costituito parte civile nel processo, che ha ripercorso ogni tappa della vicenda giudiziaria attraverso quanto emerso in fase di indagine e dibattimentale: «Bisogna tenere conto di tali condotte e tali dichiarazioni per sostenere la responsabilità dell’imputato. Dato certo è che Francesco Sansone disse di aver incontrato il giorno dello stupro e della morte proprio Roberta. Non è da sottovalutare che è stato proprio lui a narrare di averla vista sola e avere visto che percorreva quella strada con le gambe scoperte. Non trascuriamo il dato che coincide che quel giorno Roberta indossava un jeans e una maglietta. Non dimentichiamo l’indicibile scempio del corpo di Roberta. Per questo occorre ricomporre ogni frammento di verità». L’avvocato Pasqua ha citato nella sua discussione alcune parti di arringhe pronunciate da colleghi che non ci sono più e che hanno ricostruito la vicenda della studentessa nel primo processo che si è chiuso con l’assoluzione in tutti e tre i gradi di giudizio degli imputati. Ma che sono fondamentali per descrivere quell’atroce delitto.
«Nel nome di Roberta – ha detto l’avvocato Pasqua – e di tutte le donne nel Centro si lotta per la riappropriazione di noi stesse. Nella memoria di Roberta, qualunque sia l’esito del processo, le mani invisibili che l’hanno violentata saranno sempre cercate e allontanate. Bisogna fare giustizia a partire da questa vicenda affinché le donne conoscano la giustizia come una cosa che è stata negata a Roberta».
Con la veemenza che ha sempre contraddistinto i suoi interventi, l’avvocato Ornella Nucci, legale della famiglia Lanzino, ha precisato che «qui si discute oggi dell’omicidio di Roberta. Abbiamo sempre condiviso tutto con la Procura, ma non posso condividere il modo con cui loro hanno concluso. Non ho la pretesa della verità ma penso che dobbiamo ragionare su tutti gli elementi che abbiamo in possesso. L’omicidio Lanzino ha fatto la storia di questa città. Questo processo è sorto dopo le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia. Per scelta ho distinto le fasi di questa discussione in una prima, in cui affronto il risultato egregio a cui è giunto il Ris di Messina. E poi cercherò di coniugare i vari aspetti con le risultanze istruttorie. La serietà di approccio scientifico dimostrata dal Ris di Messina è una luce positiva. Roberta è stata sgozzata perché questo è il termine giusto per definire tale barbarie. Allora si sarebbero dovute rinvenire molte tracce di sangue. Quindi – ha ribadito l’avvocato Nucci – quello non è il luogo del delitto ma solo del rinvenimento del cadavere. L’altro dato importante è che i fatti accaduti non possono essere stati commessi da una sola persona, e forse nemmeno da due. Nessuno mai potrà dire con evidenza scientifica – lo ha confermato il maggiore Romano del Ris – se quel sangue e quel liquido seminale si siano mischiati in quel momento o per un altro barbaro scherzo del destino si siano formati in momenti diversi. Speriamo che quella perizia ci possa ancora servire. Ma al momento mi interessa dire che ci sono dati di questo processo che portano alla responsabilità dell’imputato». Infatti, intanto la Procura di Paola ha aperto una nuova indagine sulla morte di Roberta proprio alla luce della prova scientifica. Ma per l’avvocato Nucci bisogna, per ora, stare in questo processo. «Mi dispiace – ha aggiunto Nucci – ripercorrere le fasi brutali della violenza soprattutto perché ci sono una madre e un padre che ascoltano, ma Roberta merita giustizia». Come lo merita la famiglia «che – ha detto il legale – continua a subire episodi inquietanti, come lettere intimidatorie nel corso del processo e la casa del mare messa a soqquadro più volte, l’ultima qualche giorno fa».
Nell’ultima parte della sua discussione l’avvocato Nucci ha evidenziato poi la correlazione tra l’omicidio di Roberta e quello di Carbone, ma anche i numerosi depistaggi che a vari livelli hanno interessato l’intera vicenda.
Per tutti questi motivi per gli avvocati Pasqua e Nucci bisogna condannare Sansone.
Si torna in aula domani, 16 aprile, quando dopo le arringhe degli avvocati della difesa la Corte, presieduta dal presidente Maria Antonia Gallo, andrà in camera di consiglio al termine della quale dovrebbe essere emessa la sentenza.

 

Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it

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