COSENZA All’ingresso in platea del Teatro auditorium dell’Unical, il pubblico si mostra perplesso: «Come mai c’è questa nebbia?», domandano in molti. È scenografica, suggestiva, necessaria a calarsi nell’atmosfera del “Macbeth su Macbeth su Macbeth. Uno studio per la mano sinistra” il nuovo spettacolo di Chiara Guidi e della “Socìetas Raffaello Sanzio”, portato in scena all’auditorium di Arcavacata mercoledì sera. Tre attrici (la stessa Chiara Guidi, Anna Lidia Molina e Agnese Scotti), sono le tre streghe che vagano sui gradini della sala, in attesa che tutti prendano posto. Scendono nel suolo scozzese ripetendo «Mcbeth, Macbeth, Macbeth». Si studiano a vicenda, additandosi «Chi siete? Sembrate…» e «Siete proprio ciò che sembrate, o siete allucinazione?», prendendo contatto l’un l’altra e iniziando una danza/lotta da cui parte il gesto di bendare il braccio destro impedendogli di muoversi e lasciare libero solo il sinistro, quello dello “studio”, appunto. Nessuna ricercatezza drammaturgica, semplicemente quello che si vede: tentare di tenere in piedi un’ora di spettacolo utilizzando solo un braccio o, più semplicemente, enfatizzare quella mano insanguinata che porterà Lady Macbeth alla follia.
Uno spettacolo che sembrerebbe diviso in due parti scandite dall’ingresso in scena del violoncellista Francesco Guerri che, con Giuseppe Ielasi, ha curato le musiche di scena originali. Molto, tanto, forse quasi tutto all’inizio di questo dramma – che sintetizza i cinque atti originali in semplici reiterate battute – , è affidato alle musiche e ai suoni, ma soprattutto alle straordinarie abilità vocali delle protagoniste. Spettrale ed esoterico, questo “Macbeth” usa gli strumenti e la voce come elementi essenziali della costruzione scenica: sussurri, suoni gutturali, pianti esasperati, vagiti e respiri affannossi e secchi, creano un’atmosfera mistica e demoniaca che cala il teatro in un clima freddo e infernale («le parole gettano un fiato troppo freddo sul calore delle azioni» e «Barabba, Barabba, il diavolo», ripetono le protagoniste), supportate dall’oscurità della scena e da pannelli – neri anch’essi e semoventi – che scompaiono, ma restano vivi nella momeria di chi li ha incontrati. Il testo di Shakespeare è bruciato sul proscenio. Questo «racconto dell’idiota», è studiato, spulciato, sfogliato animatamente e, infine, arso. Una sola sillaba «Re. Re. Re», e il quadro cambia.
La “seconda parte” trascina con inquietudine l’azione in questo “hic et nunc” in cui il dramma si compie. Re Duncan sta per essere ucciso. Una porta bianca è illuminata. Dalla fessura esce un braccio dorato che batte ripetutamente i pugni. «Svegliate il re! Svegliate il re!», proviene dall’interno della stanza. Un anello dorato, scende dal soffitto. È accecante la luce che investe l’“erede” al trono «l’ambizione acceca le pupille» il cui «demone mente dicendo la verità», commentano. Prigioniera della sua follia («Gli occhi sono aperti, ma la vista è chiusa»), Lady Macbeth/Chiara Guidi, l’arto bloccato da tempo, prende consapevolezza dei gesti «queste mani non saranno mai pulite» e – parlando al pubblico «Scusate non mi sento tanto bene, non posso andare avanti» -, si accascia al suolo e muore. Una croce e della terra la rivestono in questo passaggio finale, mentre sul fondo il violoncello con archetto infuocato “brucia” l’oscurità della scena, in un suono liberatorio. Divelto l’ultimo pannello, il sipario strappa lo spettatore alla tragedia che si è appena compiuta. Il lavoro di regia di Chiara Guidi punta molto sul concetto di potere.
In principio sono le streghe, che orchestrano l’incontro con Macbeth («E se dovessimo fallire?», si domandano). Si passa a quello del re, il cui nome è rievocato ossessivamente durante lo spettacolo, per chiudere con Lady Macbeth e il suo declino. Potrebbe bastare anche il solo pugnale, sospeso a lungo su uno sgabello che – non a caso – rimarrà in scena fino alla fine. L’essenzialità della drammaturgia, affida agli oggetti il compito di parlare (il tronco per la caduta del bosco di Birnan e l’anello per l’incoronazone di Macbeth). L’assenza di ulteriori passaggi testuali, fa parte di quel lavoro di ricerca ed esplorazione che caratterizzano una delle compagnie che ha segnato profondamente il teatro contemporaneo, cercando di metterlo sempre in discussione. Pur perdendo la sua forma classica, la tragedia shakespeariana, in questo nuovo adattamento, si consuma in tutto il suo feroce orrore.
Miriam Guinea
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