CATANZARO L’antimafia della presenza, l’antimafia della partecipazione, l’antimafia della riappropriazione del territorio, della città. Catanzaro ha risposto all’appello di Libera, nonostante la pioggia avesse provato a dare una scusa a quelli che non ci sarebbero comunque andati all’appuntamento con “Catanzaro Libera Catanzaro”. Prevista per le ore 18 in piazza Prefettura, la manifestazione – fortemente voluta dal coordinamento catanzarese, rappresentato da Donatella Monteverdi, dopo i tanti episodi di criminalità degli ultimi tempi – è stata spostata di qualche metro, al chiuso, in Galleria Mancuso, nella speranza di riuscire a dare comunque un segnale. E quel segnale è arrivato: mille o forse più persone non si sono lasciate fermare dalla pioggia e hanno deciso di metterci la faccia.
E poco contano allora i numeri o l’amplificazione dell’audio imperfetta: contava esserci e manifestare. Perché Catanzaro, oggi è arrivata la conferma, ha preso coscienza di non essere (mai stata) un’isola felice, di non essere affatto lontana da quei luoghi in cui la ‘ndrangheta comanda. I catanzaresi, dopo i fatti degli ultimi mesi, hanno compreso che quella sottile ma perfettamente opaca pellicola che li separava dalla realtà dei fatti, non esiste più e ora possono vedere che appena sotto la superficie, la loro città non è tanto diversa dal resto della Calabria. Ecco perché vedere insieme giovani e anziani, uomini e donne, a manifestare in piazza assume un valore simbolico enorme.
Dal palco (improvvisato), per la prima volta nessuna sfilata politica. Chi temeva che l’appuntamento si sarebbe trasformato in una passerella, che Libera avrebbe prestato il fianco a strumentalizzazioni di qualsiasi sorta, è stato sonoramente smentito. Pochi interventi selezionati, tutti i politici giù assieme al resto della gente: niente saluti del sindaco Abramo e neanche del consigliere regionale Arturo Bova, che pure nei giorni scorsi aveva subìto una vile intimidazione. Messaggio chiaro, che è arrivato dritto alla folla: «Libera è libera».
Al microfono, Mimmo Nasone, coordinatore regionale di Libera, ricorda l’omicidio – avvenuto 10 anni fa – di Gianluca Congiusta, e ringrazia per la partecipazione Giovanni e Francesca Gabriele, genitori del piccolo Domenico, ucciso a 11 anni su un campo di calcio perché era nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
Dalle parole di Antonio Viscomi, docente di diritto del lavoro all’università di Catanzaro, arriva un input importante: «Dobbiamo prenderci la responsabilità di decidere del nostro destino. Dobbiamo ristabilire proprio il concetto di responsabilità: non possiamo quindi voltarci dal lato opposto se la vetrina che salta in aria non è la nostra ma quella del nostro vicino. Nella nostra terra, a volte, si ha la sensazione che le cose di tutti siano cose di nessuno, perciò in questo contesto la criminalità ha facilità di penetrazione nella società».
Prima di lui, Marco Rubbettino, presidente regionale dei Giovani di Confindustria, aveva ricordato la storia di Pino Masciari, sottolineando come l’imprenditore sia stato costretto – dopo aver denunciato le intimidazioni subite – a lasciare la propria terra: «Per sconfiggere quello che è un vero e proprio cancro, dobbiamo essere uniti e coesi», ha tuonato.
Particolarmente apprezzato dal pubblico l’intervento di Davide Greco, rappresentante del mondo studentesco. Un discorso alla pancia delle persone, il suo, un discorso animato, ricco di passione, che non ha lesinato sferzate alla classe politica: «Noi studenti non siamo più disposti ad accettare la corruzione nelle istituzioni politiche e non. Non siamo disposti a far sì che i nostri diritti ci vengano riconosciuti dietro pagamento di tasse e ticket. Non vogliamo più essere passivi alla criminalità.
Magari, oggi, tra di noi c’è qualche mafioso che però si guarda bene dal ribattere: questo perché la mafia ha paura di noi, della società civile. Invito tutti gli studenti, oggi, a giurare e impegnarsi affinché, quando saranno classe dirigente, mai accetteranno mafia e corruzione. Questo è il giorno in cui Catanzaro ha detto no alla mafia e sì alla sua rinascita».
A seguire, prima delle chiusura affidata al vescovo di Catanzaro mons. Vincenzo Bertolone, la testimonianza di Rocco Mangiardi, imprenditore lametino che ha avuto il coraggio di denunciare i suoi estorsori. La sua storia è simbolica e carica di messaggi da condividere: «Quando vennero da me per la prima volta, mi chiesero 1200 euro al mese. Avrei dovuto licenziare un padre di famiglia per pagare il pizzo e allora, anche grazie al sostegno della mia famiglia, ho detto no e ho denunciato. E in tribunale ho capito tante cose: ho capito che i mafiosi sono vigliacchi. Mentre in aula puntavo il dito contro uno di loro, contro un boss della famiglia Giampà, l’ho visto provare a nascondersi: il nostro dito puntato contro di loro è più forte di qualsiasi pistola ci potranno puntare contro. Quando quel boss, pentendosi, aveva spiegato che per un omicidio, un killer veniva pagato 20-25mila euro, ho capito subito che, se avessi deciso di pagare, avrei dato loro i soldi per un omicidio all’anno. E parlando con Francesco Gabriele, ho capito anche che se noi non paghiamo, loro non ammazzano perché non hanno alcun territorio da spartirsi».
Per finire, poi, una piccola fiaccolata silenziosa, questa volta in piazza Prefettura, perché ad un certo punto, anche la pioggia, si è arresa e ha lasciato che i catanzaresi si riappropriassero della loro città.
Alessandro Tarantino
a.tarantino@corrierecal.it
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