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"Squarcio", pesanti richieste di pena per i clan del Cosentino

COSENZA Pene pesanti quelle chieste oggi dal pubblico ministero della Dda di Catanzaro, Pierpaolo Bruni, nel corso della requisitoria del processo “Squarcio”. Il procedimento è scaturito da un’oper…

Pubblicato il: 27/04/2015 – 15:15
"Squarcio", pesanti richieste di pena per i clan del Cosentino

COSENZA Pene pesanti quelle chieste oggi dal pubblico ministero della Dda di Catanzaro, Pierpaolo Bruni, nel corso della requisitoria del processo “Squarcio”. Il procedimento è scaturito da un’operazione contro i clan del Cosentino scattata nel 2000. Gli imputati, secondo l’accusa, avrebbero gestito il racket delle estorsioni, imponendo il pizzo alle società titolari degli appalti per l’ammodernamento della A3. I reati contestati vanno dall’associazione a delinquere finalizzata alle estorsioni fino al traffico di sostanze stupefacenti e al tentato omicidio.
Secondo l’impianto accusatorio, il pizzo che gli imprenditori dovevano pagare si aggirava intorno al 2-3 per cento del valore dell’appalto, cifre enormi viste l’entità dei lavori che da anni si svolgono sull’autostrada. E a fare da tramite fra le famiglie della ‘ndrangheta e le vittime del racket ci sarebbero stati anche imprenditori collusi.
Il pm, oggi nell’aula 9 del tribunale di Cosenza, ha chiesto 14 anni di carcere per Walter Gianluca Marsico; 8 anni per Luigi Gagliardi e Luisiano Castiglia per associazione mafiosa e per associazione finalizzata al narcotraffico. Per il reato di associazione finalizzata al narcotraffico la pubblica accusa ha chiesto 24 anni di carcere per Ettore Lanzino; 7 anni per Vincenzo Dedato e 4 anni per Francesco Amodio e Angelo Colosso. Per Dedato, Amodio e Colosso le richieste di condanna comprendono le attenuanti previste per i collaboratori di giustizia. Per alcuni capi di imputazione il pm ha chiesto il ne bis in idem (il non doversi procedere per la seconda volta per lo stesso reato) per Dedato e per Domenico Cicero (compreso il reato di associazione mafiosa). Per Amodio ha chiesto, invece, la prescrizione sempre per alcuni capi di imputazione. Per Bruni i pentiti hanno dato un “contributo importante”.
Per Marsico e Castiglia – ha detto il pm in udienza – “si deve tener conto della sentenza dell’omicidio Marchio che ha una particolare importanza perché sancisce la guerra tra i clan del Cosentino e il ruolo di primissimo piano avuto negli agguati da Marsico: questo sia sulla base dell’attività d’indagine che su quanto dichiarato dai pentiti”.
Nel corso della sua requisitoria il pm ha ricordato anche l’episodio, contestato nel quinto capo d’imputazione, che riguarda le estorsioni durante la fiera di San Giuseppe. In particolare – secondo l’accusa -, Cicero e Lanzino in qualità di capi, assieme a Dedato nel ruolo di contabile, con minacce e violenze avrebbero costretto i commercianti ambulanti della fiera a versare la somma di 300mila lire a espositore. Ma per questo capo di imputazione per Dedato e Cicero è stato chiesto il ne bis in idem.
Dopo le richieste del pubblico ministero sono iniziate le arringhe della difesa. L’avvocato Laura Gaetano, in rappresentanza della Regione che si era costituita parte civile, si è rimessa alle conclusioni del pm. Così come ha fatto anche il legale di Dedato. Diversa la posizione dell’avvocato Ripoli, difensore di Castiglia che ha sottolineato come “mancano in tale contesto i reati scopo”. E’ toccato, poi, all’avvocato Vincenzo Guglielmo Belvedere, legale di Gagliardi, smontare l’impianto accusatorio punto per punto e affermare la totale estraneità ai fatti contestati del suo assistito: “Dedato – ha detto l’avvocato Belvedere – ha definito Gagliardi un apprendista associato, figura che non esiste nell’organizzazione mafiosa”.
Il collegio, presieduto da Enrico Di Dedda, a inizio udienza ha accolto le richieste del pubblico ministero relative all’acquisizione di alcune sentenze sulle cosche del Cosentino. Il processo è stato aggiornato al 25 maggio quando proseguiranno le arringhe della difesa.

 

Mirella Molinaro

m.molinaro@corrierecal.it

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