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Trasversale, il «solido rapporto» tra il capocantiere e le 'ndrine

VIBO VALENTIA Ci sarebbe «un solido rapporto fiduciario» a legare Livio Calvi ad alcuni «esponenti di pericolose organizzazioni criminali intenzionate ad affermare il loro potere sul territorio». U…

Pubblicato il: 29/04/2015 – 16:40
Trasversale, il «solido rapporto» tra il capocantiere e le 'ndrine

VIBO VALENTIA Ci sarebbe «un solido rapporto fiduciario» a legare Livio Calvi ad alcuni «esponenti di pericolose organizzazioni criminali intenzionate ad affermare il loro potere sul territorio». Un legame «forte» con personaggi riconducibili alla ‘ndrangheta che, evidentemente, avrebbero avuto tutto l’interesse a far scappare la “Cavalleri Infrastrutture” dai cantieri della Trasversale delle Serre. Il gip di Catanzaro, Abigail Mellace, lo scrive chiaramente nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita oggi (operazione “Velo di Maya”) nei confronti del capocantiere 59enne che, pur essendo uno storico collaboratore della “Cavalleri”, sarebbe tra i responsabili delle intimidazioni subìte nei mesi scorsi dall’azienda bergamasca. Non aggiungono molto altro, nelle carte, i magistrati catanzaresi, perché le indagini – come chiarito in conferenza stampa dal procuratore Lombardo, dall’aggiunto Bombardieri e dai comandanti provinciali di carabinieri e guardia di finanza, Scardecchia e Valle – sono tutt’altro che concluse. C’è infatti da capire chi (e come) abbia eventualmente indotto Calvi a mettere in atto le condotte che gli vengono contestate dalla Dda di Catanzaro: secondo gli inquirenti il 59enne finito in manette, in concorso con altri, sarebbe il responsabile di intimidazioni e gravi danneggiamenti all’azienda per cui lui stesso lavorava, impegnata nella realizzazione del terzo tronco (Vallelonga-Montecucco) dell’arteria – un’eterna incompiuta – che dovrebbe collegare le Serre alle due coste.

 

FIAMME E PROIETTILI
Nella notte tra il 12 e il 13 ottobre 2014, alle 2,30 del mattino arriva una telefonata ai Vigili del fuoco di Vibo che segnala che alcuni mezzi del cantiere di Montecucco sono in fiamme. Si tratta – rilevano poco dopo i carabinieri della compagnia di Serra San Bruno – di due escavatori, una gru, una trivella e una pala meccanica di proprietà di alcune aziende che in quel cantiere lavorano in subappalto con la “Cavalleri”. Qualche ora dopo si scopre che sono stati incendiati altri mezzi (una gru e un escavatore) anche nel vicino cantiere di Vazzano. A presentare la denuncia è il geometra Giuseppe Sansone, direttore di cantiere dell’azienda bergamasca. Prima di quell’episodio, spiega Sansone ai carabinieri, non c’è stata nessuna avvisaglia di minacce né di richieste estorsive, solo qualche furto di gasolio. Tre giorni dopo, però, è lo stesso direttore di cantiere a denunciare di essere stato oggetto di una pesante intimidazione: qualcuno gli ha lasciato un bossolo calibro 12 sotto il tergicristallo dell’auto. I carabinieri cominciano a indagare sui danneggiamenti tenendo sotto osservazione anche il personale della “Cavalleri”. In un primo momento non viene fuori granché, ma la mattina del 12 gennaio scorso arriva una telefonata (intercettata) proprio a Sansone: «Se non ve ne andate – gli dice un ignoto interlocutore – la prossima volta le cartucce saranno piene, per te e i tuoi colleghi». Chiaro, fin troppo, è il riferimento al “messaggio” inviato qualche mese prima con il bossolo, e il destinatario non perde tempo: il giorno dopo Sansone lascia all’improvviso i cantieri della Trasversale e si trasferisce in un’altra sede operativa dell’azienda per cui lavora. Dopo diverse verifiche incrociate, e grazie anche ai filmati delle telecamere di sorveglianza, gli inquirenti scoprono che quella telefonata minatoria è partita dall’aeroporto di Lamezia. E che a pronunciare quelle parole pesantissime era stato un collega di Sansone: Livio Calvi.

 

LA FALSA MINACCIA
Esattamente una settimana dopo la telefonata a Sansone, il 19 gennaio 2015, Calvi si presenta alla stazione dei carabinieri di Dalmine (Bg) per sporgere una denuncia. Dieci giorni prima, riferisce il 59enne ai militari, mentre andava all’aeroporto di Lamezia con l’auto aziendale sarebbe stato affiancato da una vettura scura – di cui non ha saputo indicare il modello – il cui conducente gli avrebbe intimato di «allontanarsi dal cantiere in quanto la prossima volta i proiettili sarebbero stati carichi», minacciandolo di non rivelare niente perché «sapevano dove abitava e chi erano i suoi familiari». Ai militari bergamaschi Calvi dice anche di non aver denunciato prima per paura di ritorsioni. Dopo questa denuncia, il cui contenuto per gli inquirenti sarebbe palesemente falso, Calvi non tornerà più in Calabria.

 

L’INVESTIGATORE PRIVATO
Uno dei titolari dell’azienda impegnata sulla Trasversale, Gregorio Cavalleri, il 3 febbraio si presenta negli uffici della squadra mobile di Catanzaro. Cavalleri dice alla polizia che per individuare i mandanti delle intimidazioni si è rivolto a un investigatore privato di Arezzo. E il detective, dopo le indagini, gli ha rivelato di essere stato avvicinato da fantomatici emissari del clan Mancuso di Limbadi che, senza mezzi termini, gli avrebbero detto che per mettersi a posto la “Cavalleri” avrebbe dovuto pagare 60mila euro in quattro rate. Anche questa “scoperta”, secondo gli inquirenti, sarebbe un falso: nell’arco di tempo in cui avrebbe dovuto condurre le sue indagini, l’investigatore privato (non indagato) non avrebbe mai messo piede né nel Vibonese né tantomeno nella zona di Serra San Bruno.

 

I DUBBI SULLA SOCIETÀ
Altri dubbi emersi dall’inchiesta, infine, riguardano lo status societario della stessa azienda bergamasca. Non sono infatti sfuggiti ai militari della Guardia di finanza di Vibo gli evidenti collegamenti tra l’azienda “Cavalleri Ottavio spa”, che è in fase di liquidazione, e la “Cavalleri Infrastrutture srl”, attualmente titolare dell’appalto sulla Trasversale. «In particolare si accertava che – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – nonostante il subentro nell’appalto di quest’ultima società al posto della precedente, presso i cantieri continuavano ad essere impiegati mezzi appartenenti alla prima impresa in liquidazione e il personale dipendente della medesima azienda». La ricostruzione di queste dinamiche è tuttora al centro di ulteriori indagini, così come resta ancora da decifrare la regia ‘ndranghetista che si celerebbe dietro le intimidazioni per cui è finito in manette il capocantiere della “Cavalleri”.

Sergio Pelaia

s.pelaia@corrierecal.it

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