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VOTO DI SCAMBIO | Quei legami tra Zappalà e il clan

REGGIO CALABRIA Nessuno di loro è un volto sconosciuto per la Dda di Reggio Calabria. Tanto l’ex consigliere regionale Santi Zappalà, come il suo tramite con la cosca Pelle, Giuseppe Mesiani Mazzac…

Pubblicato il: 29/04/2015 – 12:34
VOTO DI SCAMBIO | Quei legami tra Zappalà e il clan

REGGIO CALABRIA Nessuno di loro è un volto sconosciuto per la Dda di Reggio Calabria. Tanto l’ex consigliere regionale Santi Zappalà, come il suo tramite con la cosca Pelle, Giuseppe Mesiani Mazzacuva, e gli uomini del clan Giuseppe Pelle, Sebastiano Pelle, Antonio Pelle (cl.86) erano stati già coinvolti in diversi filoni investigativi del procedimento “Reale”, sulla base di quanto emerso sono stati portati a giudizio e condannati, in alcuni casi in via definitiva.

 

VOTI COMPRATI AL MERCATO DEI CLAN
Quello che la nuova indagine della Dda mette nero su bianco, anche sviluppando quanto emerso in quei processi, è che – nonostante il verdetto della Cassazione lo metta in discussione – la cosca Pelle esiste, Peppe Pelle ne è il capo e il progetto di corruzione elettorale mirato a beneficiare Santi Zappalà è di tipo mafioso. È questo in sintesi il significato della nuova inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri, insieme ai pm Antonio De Bernardo e Giovanni Musarò, che ha rispedito dietro le sbarre l’ex politico Santi Zappalà, confermando non solo tutto quanto in precedenza emerso nelle indagini a suo carico, ma chiarendo ulteriormente il contesto mafioso in cui quella compravendita di voti è maturata. Per i magistrati non c’è dubbio alcuno, quando Zappalà si è seduto a tavola con i boss di San Luca in un ristorante della periferia sud di Reggio Calabria, dopo una serie di incontri a casa del boss, sapeva perfettamente di avere davanti gli uomini delle ‘ndrine. E sapeva che i dieci assegni di diecimila euro che a breve avrebbe fatto arrivare nelle loro tasche in cambio di voti sicuri, sarebbero serviti ai progetti del clan.

 

L’INVOLONTARIA “COLLABORAZIONE” DI GIUSEPPE MAZZACUVA
Una compravendita ricostruita anche grazie alle “indicazioni” involontariamente fornite da Giuseppe Mesiani Mazzacuva nel corso dell’interrogatorio di garanzia seguito al suo primo arresto. Senza che alcuna contestazione gli venisse mossa al riguardo, l’imprenditore si è affrettato a specificare che la somma di centomila euro cui si faceva cenno nelle conversazioni intercettate, in seguito riscontrata grazie a una scrittura privata trovata nel corso delle perquisizioni, sarebbe stata da ricondurre non ad un prestito – come immaginato dai pm e in quel documento falsamente affermato – ma alle attività politiche nella Locride dell’allora aspirante consigliere regionale. Una traccia importante per gli investigatori, che non ci hanno messo molto a incrociarla con i contatti con la cosca Pelle, così come non è stato difficile per gli inquirenti incrociare i contatti di Zappalà con le cosche Commisso di Siderno, Barbaro Mano armata e Barbaro Castanu di Platì, Pelle Gambazza di San Luca, Cacciola e Bellocco di Rosarno, Greco di Calanna e con esponenti apicali della Locale di ‘ndrangheta di Natile di Careri, con quanto emerso nell’inchiesta Inganno, l’indagine sulle ‘ndrine di Platì che ha fatto finire in carcere – ma non per reati di ‘ndrangheta – anche l’ex stellina dell’antimafia, Rosy Canale.

 

ELEMENTI NUOVI DALL’OPERAZIONE INGANNO
A mettere nei guai Zappalà saranno infatti le intercettazioni dell’ex sindaco di San Luca, Sebastiano Giorgi, considerato il referente politico-amministrativo dei clan del paese e per questo di recente condannato in primo grado a sei anni. Ascoltando le sue conversazioni, i Ros registrano quello che per gli uomini delle ‘ndrine del mandamento jonico era un dato acquisito: il “sorprendente” risultato di Zappalà nei centri della jonica era stato possibile solo dietro pagamento di cospicue somme. Alle ‘ndrine di San Luca, dice Giorgi intercettato, il 26 marzo 2010 Zappalà avrebbe versato la bellezza di 400mila euro per un pacchetto di voti, di cui 100mila euro sarebbero andati ai Pelle. Un dato confermato documentalmente grazie al lavoro delle Fiamme gialle, che hanno scoperto che, proprio il 26 marzo 2010, dieci assegni, del valore di 10mila euro ciascuno, sono finiti nella disponibilità di Mesiani Mazzacuva. Un giro vorticoso di denaro che il politico per anni è riuscito a nascondere grazie al sistema di società cartiere che ruotava attorno alla Fisiokinesiterapia Bagnarese srl. La ditta, formalmente amministrata dalla moglie di Zappalà, grazie al sistema delle fatture inesistenti emesse da società di comodo, per anni avrebbe drenato denaro che avrebbe permesso di creare un fondo nero, inesistente per il fisco e destinato a finanziare le aspirazioni elettorali di Zappalà. Da qui, credono i magistrati, sono venuti fuori i soldi. Soldi – conferma il gip, superando le perplessità della Cassazione – destinati alla ‘ndrangheta.

 

PELLE È UN BOSS
Analizzando le conversazioni intercettate e messe agli atti dell’indagine, durante le quali si ascoltano Giovanni Ficara e Francesco Billari – noti esponenti del clan Ficara – esaltare la compattezza e l’unità, tanto all’interno come all’esterno, del clan Pelle e per questo divenuto “esempio” per le altre locali di ‘ndrangheta, il gip mette nero su bianco: Peppe Pelle “Gambazza” non è e mai può considerarsi una monade, un atollo di ‘ndrangheta isolato con capacità decisionali “apicali” da maggiorente, quale anche i giudici della Suprema Corte lo definiscono sulla scorta di un dato addirittura non contestato in alcun modo dalle stesse difese del Pelle, che si staglia in un mare di incontaminato di suoi congiunti e prossimi titolari del potere mafioso esercitato in quel territorio, per dire la sua o esercitare il suo potere in via estemporanea, ad intermittenza, solo in occasione dei conflitti tra famiglie di ‘ndrangheta idonei a scatenare sanguinare faide familiari tra clan contrapposti, oppure esclusivamente nel caso di momenti di frizione interna per il conferimento di cariche nella “società maggiore”, o ancora solamente quando si tratta di fornire appoggio “prezzolato” nel canalizzare i voti della popolazione del mandamento jonico e di tutti gli affiliati al candidato ed al politico di turno, che si presenta alla sua porta”. Per il giudice, al contrario il ruolo di Pelle solo può essere compatibile “con quello di boss del clan dei Pelle-Gambazza per la popolazione locale, nonché l’origine stessa ed il punto di partenza della sua condizione di “maggiorente” all’interno della ‘ndrangheta, intesa in senso unitario, diffusa su tutto il territorio provinciale e calabrese, con ramificazioni nel resto di Italia e cellule accertate nei restanti paesi d’Europa tra cui, fra tutti, Svizzera e Germania, nonché con pesanti contaminazioni con la mafia canadese ed americana”.

 

 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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