REGGIO CALABRIA Ville di pregio e immobili in Calabria e in Lombardia, imprese e patrimoni aziendali dei settori più diversi, dall’edilizia alla ristorazione, auto, moto, conti correnti e polizze assicurative: è un tesoro del valore di oltre 4 milioni e mezzo di euro quello sequestrato alla cosca Bellocco per ordine della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria.
Naturale evoluzione dell’indagine “Blue Call” – che ha svelato la progressiva infiltrazione del clan in Lombardia, dove anche grazie alla connivenza di imprenditori lombardi, era riuscito ad appropriarsi di ditte e imprese – il sequestro disposto oggi dal Tribunale reggino ha colpito capi e gregari del clan, a partire da quel Michele Bellocco che dell’omonima cosca è considerato il reggente. Insieme a lui, oggetto degli undici provvedimenti emessi dal Tribunale sono i beni riconducibili a Umberto Bellocco (cl.83) omonimo nipote del patriarca e soggetto emergente nel contesto criminale rosarnese, e ai suoi uomini di fiducia Francesco Mercuri e Carlo Antonio Longo, così come quelli intestati o nelle disponibilità di Vincenzo e Francesco D’Agostino, uomini di punta del clan.
Ma i sequestri disposti dai giudici di Reggio hanno interessato anche due donne – Emanuela e Maria Angela Bellocco – utilizzate dal clan come “messaggere” e fondamentale elemento di collegamento fra i boss in carcere e i loro uomini ancora a piede libero, cui era deputato il mantenimento della supremazia e degli affari del clan. Per il Tribunale, erano tutti riusciti ad accumulare un enorme patrimonio, assolutamente sproporzionato ai redditi dichiarati, grazie ai proventi delle attività illecite, in seguito reinvestiti nell’acquisto di società, aziende, beni immobili e altro, intestati, al fine di eludere la normativa antimafia, ai propri familiari o a soggetti terzi. Un’attitudine imprenditoriale già emersa nell’indagine “Blue Call”, che aveva messo a nudo non solo il duplice volto del clan di Rosarno – che in Calabria mette la firma su estorsioni, rapine, riciclaggio di denaro, traffici di droga e di armi, a Milano invece si prende le aziende, le svuota, le corrompe – ma anche l’assoluta disponibilità ad essere “colonizzati” dei padroncini milanesi.
A “invitare” all’interno della Blue Call – l’azienda di call center che ha dato il nome all’indagine – era stato infatti lo stesso titolare, Giovanni Fratta, che pur di recuperare un credito di 250mila euro non aveva esitato a rivolgersi ai “calabresi”. Un servizio pagato 50mila euro in contanti e 40mila in quote della “Blue Call”, che per il clan sono diventate il cavallo di Troia attraverso cui svuotare l’azienda.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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