Oggi è in edicola l’ultimo numero del Corriere della Sera firmato da Ferruccio de Bortoli. Che dovesse lasciare lo si sapeva da ormai nove mesi e tuttavia l’impatto non per questo si rivela minore. Certo, il fatto che la direzione passi nelle mani di Lucio Fontana rassicura molto i lettori e gli osservatori che più hanno a cuore le sorti della democrazia e del pluralismo informatvo in questo Paese. Non solo perchè Fontana è stato, a prescindere dal ruolo di condirettore, il più leale e prezioso collaboratore di de Bortoli, ma anche perchè uomo che la gavetta l’ha fatta veramente ed a lungo.
Lascia la direzione, de Bortoli, e affida a chi fa questo mestiere un manifesto: «Il Corriere non è stato il portavoce di nessuno, tantomeno dei suoi troppi e litigiosi azionisti. Non ha fatto sconti al potere, nelle sue varie forme, nemmeno a quello giudiziario. Ha giudicato i governi sui fatti, senza amicizie, pregiudizi o secondi fini. E proprio per questo è stato inviso e criticato. Chi scrive ha avuto lunghe vicende giudiziarie con gli avvocati di Berlusconi, di D’Alema e di tanti altri. Al nostro storico collaboratore Mario Monti non piacquero, per usare un eufemismo, alcuni nostri editoriali. Come a Prodi, del resto, a suo tempo. Pazienza. Del giovane caudillo Renzi, che dire? Un maleducato di talento. Disprezza le istituzioni e mal sopporta le critiche».
Con un pizzico di impudente ironia, verrebbe da osservare che c’è chi se la passa peggio, dovendo fare i conti con un maleducato senza talento che in quanto a critiche ne sopporta assai meno di Renzi. Ammonisce, poi, de Bortoli: «Con il tempo ho imparato che i giornali devono essere scomodi e temuti per poter svolgere un’utile funzione civile. La verità è che i bravi giornalisti spesso ne sanno di più di coloro che vorrebbero zittirli. In questo Paese, di modesta cultura delle regole, l’informazione è considerata da gran parte della classe dirigente un male necessario. Uno dei tanti segni di arretratezza. Piaccia o no, le notizie sono notizie. I fatti sono i fatti, anche quando smentiscono le opinioni di chi scrive. E le inchieste sono un dovere civile, oltre che professionale. Perché le democrazie si nutrono di trasparenza e confronto, di attenzione e rispetto. Dove c’è trasparenza c’è riconoscimento del merito, concorrenza e crescita. Nell’opacità si regredisce. Una società democratica non deperisce solo se ha un’opinione pubblica avvertita e responsabile, alla quale devono essere forniti gli ingredienti utili per scegliere. Non solo nelle urne ma nella vita di ogni giorno. Conoscere per deliberare. L’opinione pubblica, architrave di una democrazia evoluta, è composta da cittadini con spirito critico non da sudditi che se le bevono tutte».
C’è tutto in queste righe.
Alla nostra piccola esperienza, Ferruccio de Bortoli è stato molto vicino. Con i colleghi Talarico, Vetere e Graziadio, ricordiamo ancora i ripetuti contatti e il pomeriggio trascorso con lui, nell’autunno del 2010, nel suo studio di via Solferino. Non ci chiese di lasciare la stanza neanche quando dovette ingaggiare una lunga telefonata con Bruxelles, avendo da discutere con Mario Monti di un delicato editoriale appena inviatogli. Confidava nella nostra serietà e non voleva mostrarsi sgarbato. Nella misura in cui gli fu possibile ha accompagnato ed aiutato il nostro impegno. Anche il nostro sogno. Eravamo ad un passo dal concretizzarlo e se non ci si è riusciti non fu certo per colpa sua. Queste righe servono per ringraziarlo, certo. Servono anche per dare una piccola, “provinciale” testimonianza della sua coerenza quando dice del mestiere di giornalista.
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