Non sarà il cinque maggio che, colpevole il Manzoni, ha tormentato la vita di molti liceali, ma c’è da sperare non sia neppure un’altra fiera dell’ipocrisia all’insegna del «tutto fragole e miele», per come l’ha definita, con amabile sintesi, Massimo Canale, intervenendo ospite, domenica, della nuova avventura televisiva di Antonella Grippo. Ci riferiamo all’assemblea regionale del Partito democratico che è convocata per domani a Vibo Valentia.
L’ordine del giorno non invita all’ottimismo quanti sperano sia occasione di confronto serio e di parole chiare nei confronti dei calabresi, che siano iscritti, votanti o solo interessati alla vita del partito che oggi è maggioranza in Calabria. Si dovrebbe discutere solo della «presentazione delle candidature a sindaco» e «dell’avvio della campagna elettorale». Sarà schierato a parata lo stato maggiore del Pd calabrese. Quello che sta nel partito, quello che siede nelle istituzioni e quello che, in disprezzo dello Statuto del Pd, mantiene le chiappe su entrambe le poltrone. È il caso dei segretari provinciali di Vibo Valentia, di Catanzaro e di Reggio Calabria.
È la più macroscopica ma non certo la peggiore delle contraddizioni interne a questo Pd calabrese, incapace di darsi una nuova vita e liberarsi delle vecchie liturgie fatte di maneggi, sgambetti, impegni non rispettati. Un Pd dove è possibile assistere a candidature contrapposte nello stesso comune, ovvero a liste dove la transumanza non provoca alcun rossore. Tutto si tiene insieme ma in maniera perigliosa e instabile.
Si fa presto, in Calabria, a dire Pd: quale? Quello di Fernanda Gigliotti e di Massimo Canale? Quello del dialogo e del confronto con quella società civile che non vota e non sa a chi votarsi? Oppure quello di Sebi Romeo, che in vista delle amministrative tira fuori un emendamento ad personam per consentire a un revisore dei conti dell’era Scopelliti di andare a fare il sindaco nell’era Oliverio senza rinunciare alla “revisione” dei conti del consiglio regionale, quello, per intenderci sotto schiaffo per via dell’inchiesta su “rimborsopoli”? Ci sarà auto-celebrazione, in sede di assemblea regionale, oppure si tenterà di capire cosa è successo nelle primarie di Vibo Valentia? Pietro Giamborino sarà presente o assente? E le sue accuse “gomorriane” troveranno eco o verranno rimosse? E il fatto che a Lamezia alla fine ha preso i voti solo chi stava fuori dalle confraternite del Pd locale, verrà giudicato un successo o una sconfitta? Certo, alla fine il commissario Pino Soriero porta a casa un accordo unitario, ma con ali solide oppure posticce? Il Pd della nuova primavera reggina, di Irto e di Neri, o quello di Adamo e Ciconte? Il Pd di Oliverio e quello di Magorno voteranno dappertutto allo stesso modo?
Si dirà che sono domande blasfeme e provocatorie, salvo poi verificare all’indomani del 31 maggio che il fuoco covava da tempo sotto le ceneri. Forse si farebbe meglio a non sprecarla, domani, l’occasione della seconda assemblea regionale che arriva sei mesi dopo la vittoria elettorale delle regionali. Demetrio Battaglia, gli va dato atto, un tentativo di avviare l’operazione verità sui rapporti tra partito e governo regionale ha tentato di farlo già ad Amaroni. Usò argomenti chiari e parole forti, vennero masticate e digerite nel giro di pochi giorni. All’epoca era fresco lo “strappo” seguito alla nomina di Massimo Scura a commissario per la sanità. Oggi è ancora più fresco il nuovo strappo legato alla nomina di un ufficiale della Marina militare a commissario del Porto di Gioia Tauro. Difficile prevedere che militarizzando le responsabilità della politica si potranno spendere le centinaia di milioni che quell’autorità portuale mantiene inutilizzate. Ancor più difficile prevedere che con un commissario con i galloni si rimette ordine al rapporto sballato tra interessi generali e sviluppo della Calabria, da una parte, e ragioni aziendali di chi è monopolista da sempre, dall’altra.
Il punto, però, è che il confronto in Calabria non è mai sui fatti e su progetti, ma sempre e solo sulle cordate e sui nomi. Sarà così fin quando dalle assemblee e dalle direzioni si uscirà con le magliette unte di «fragole e miele». Un unanimismo fatto di abbracci “all’americana”, quelli che servono unicamente per tastare l’artiglieria sotto la giacca dell’“amico”. Lo comprendano bene quanti hanno tutto da perdere, in genuinità e credibilità, da tale unanimismo. Meglio una sana frattura, una solare distinzione tra chi sta con la prosecuzione e chi non rinuncia alla svolta.
Capiscano, le tante personalità spendibili e credibili che pure esistono dentro il Pd calabrese, che è ora di smarcarsi da certe scelte e da certi circuiti. Quando una terra è piegata in due, rinuncia al voto, non crede nel futuro, non basta cambiare il fotografo di regime per diventare credibili. Qui oggi la massima andreottiana va capovolta: il potere logora… chi ce l’ha!
direttore@corrierecal.it
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