ROMA Abbiamo atteso qualche settimana prima di scrivere della levata di scudi, postuma, tardiva e per molti versi anche sciocca, opposta allo spazio che nella fiction di Sky “1992”, per molti altri versi criticabilissima, viene riservato allo scomparso segretario nazionale del Psi Giacomo Mancini.
Oggi, però, è il caso di rilevare alcuni dettagli di quella tentata polemica, perché sono indicativi di come la politica calabrese rifugga puntualmente la verità e di come i media calabresi assecondino acriticamente qualsivoglia manipolazione della verità. Si riducono ad una sorta di pannello in sughero dove ognuno appiccica i propri comunicati, le proprie esternazioni e le proprie verità storiche. Senza che nessuno mai si preoccupi di informare chi legge se su quelle cose esistono atti, documenti, prove che dicano come effettivamente siano andate le cose.
È il caso della critica alla fiction di Sky per avere osato dire… la verità. Una metafora della condizione intellettuale, politica e giornalistica della Calabria. Dove ti può capitare di dover dare conto per avere detto o scritto o fatto vedere cose vere laddove altri non ne hanno piacere.
A leggere le critiche, qualcuno si è inventato tutto: Mancini non accusò Craxi, non collaborò con Di Pietro per farlo incriminare, non disse dei soldi che andavano ad una corrente del Psi in cambio di futuri abbracci con un certo mondo imprenditoriale. Tutta roba inventata.
Eppure bastava poco per capire dove stava la verità. Gli atti del processo a Craxi sono pubblici, se una deposizione di Mancini c’era stata la si troverà lì. Se Mancini accusò Craxi ci sarà pure scritto e ci saranno timbri e firme. Ma tutto questo presuppone gusto della verità e vizio della memoria, un lusso che in Calabria sono pochi a volersi (o potersi) mantenere.
Provare per credere: abbiamo in mano il verbale con le dichiarazioni di Giacomo Mancini, la sua firma sotto ed a fianco quella del pm Antonio Di Pietro. Proviamo a leggerla e vediamo se accusò e in che misura Bettino Craxi.
PRIMA L’INTERVISTA AL CORSERA
Preceduto da una lunga, e durissima, intervista al Corriere della Sera, Giacomo Mancini depone davanti ai magistrati della Procura di Milano il 18 novembre 1992. E qui abbiamo la prima sorpresa: nessuno convocò Mancini, nessun pm gli inviò avviso a comparire. Si presentò spontaneamente per spiegare, usiamo parole prese dal verbale, che «se nel partito vi sono stati finanziamenti illeciti il segretario del partito, in quanto tale, non poteva non sapere». È anche per questo che nel verbale Gherardo Colombo che avvia l’interrogatorio tiene a far sapere che quello di Mancini è «verbale di assunzione di informazioni (art. 362 c.p.p.»). Colombo parte proprio dall’intervista al Corriere: «Riconosce per sue le affermazioni attribuitele ed è in grado di riferire più compiutamente quanto a sua conoscenza in ordine alla percezione di somme non contabilizzate da parte dell’On. Balzamo?».
Oggi si usa dire che è colpa del cronista, anche quando magari l’intervista è stata registrata, ma il vecchio leone socialista era di pasta diversa: «Le cose che ho detto le confermo. Voglio fare una premessa in ordine alla mia lunga militanza socialista e in ordine alla mia conoscenza diretta e indiretta di quanto è avvenuto nel Partito socialista sotto il profilo politico e quello amministrativo. Sinteticamente, in quella intervista, io, se ben ricordo, ho avuto degli apprezzamenti critici per l’atteggiamento del segretario del partito che, sicuramente commosso per la morte dell’On. Balzamo, tendeva a mio parere ad esasperare le conseguenze cui sarebbe andato incontro lo stesso Balzamo dall’evolversi delle indagini».
BALZAMO UN PUPO, CRAXI IL PUPARO
Va giù duro, Mancini: «Io ritengo che Balzamo sicuramente controllava una parte delle entrate non contabilizzate del partito, lo so per via indiretta essendo stato a suo tempo segretario del partito e conoscendo quindi i meccanismi di allora ed inoltre essendo conoscente ed amico di persone molto vicine a Balzamo, che mi hanno riferito molti particolari del settore amministrativo. Sulla base di questi elementi posso dire che contatti riguardanti pagamenti non palesi tra il segretario amministrativo del partito ed imprese esistono per il settore edilizio. I flussi finanziari rimanenti, i flussi finanziari nel loro complesso non fanno però capo al segretario amministrativo. La mia convinzione è che il segretario del partito socialista ben conoscesse quel che passava dalla segreteria amministrativa ma che non fosse vero il contrario e cioè che non fosse vero che il segretario amministrativo fosse a conoscenza dei flussi complessivi riguardanti il partito. Balzamo contabilizzava soltanto il settore dell’edilizia, delle concessioni e degli appalti, perché anche in altre epoche avveniva così. Gli sfuggiva invece tutta la parte che non trattava direttamente e cioè tutta la parte relativa ai rapporti tra partito e banche, partito e Iri, partito e grandi imprese, partito e finanza, parte che invece faceva capo direttamente alla segreteria del partito. Sulle entrate riferibili a questi rapporti non esiste attualmente alcun controllo (ne esisteva poco anche ai miei tempi, ma ora esso manca del tutto ) e quindi è difficile essere precisi sull’argomento».
BETTINO NON POTEVA NON SAPERE
Ed è ancora Giacomo Mancini, evidentemente ormai determinato a dare l’assalto finale al “craxismo”, che offre a Di Pietro e Colombo la prova del fatto che Craxi non potesse non sapere da dove prendeva i soldi il segretario amministrativo del Psi. Lo fa con queste parole dettate a verbale: «Io ho frequentato Balzamo anche in tempi recenti e ho potuto constatare che aveva una forte preoccupazione di parlare di queste questioni. Altri ne hanno parlato, altri ne parlano. Incontrando parlamentari, ministri, sentendo voci e così via si può arrivare ad una ricostruzione che non è lontana dalla verità. Tutti questi rapporti, per quel che ho potuto apprendere, prescindevano dal segretario amministrativo facendo invece capo direttamente alla segreteria politica. Voglio fare un esempio per farmi capire meglio. Hanno parlato tutti di un incontro avvenuto tra Craxi e l’allora presidente della Banca Nazionale del Lavoro, Nesi. Io parlai allora con Nesi, gli chiesi di cosa si trattava, lui non mi specificò il fatto ma mi disse che non aveva accettato delle richieste che gli erano pervenute dal segretario del partito. Ebbene da vicende di questo tipo era sicuramente del tutto estraneo Balzamo. Per fare un altro esempio, tradizionalmente, anche quando ero io il segretario del partito, l’Iri contribuiva, ancorché con cifre modeste, alla vita amministrativa del partito. Allora avveniva che mensilmente i dirigenti dell’Iri (Petrilli e Modugno), versassero un contributo al partito. Il contributo non era superiore di molto ai venti milioni mensili e veniva versato alla segreteria amministrativa. Io non so se successivamente a me questa quota periodica sia stata mantenuta. Allora tale quota periodica (eravamo nei primi anni 70) serviva in sostanza, insieme ad altre piccole entrate, a mantenere l’apparato organizzativo del partito. Da allora le entrate si sono estese, sono diventate rispetto ad allora macroscopiche. In questa nuova impostazione io non so se sia stata mantenuta la periodicità dei versamenti esistenti allora, penso anche che il rapporto con l’Iri non sia più – al contrario dei tempi miei – essenziale ai fini del mantenimento del partito e suppongo che il rapporto economico da periodico, come era allora, si sia modificato e si sia allacciato a specifici momenti come la stipulazione di un contratto o al verificarsi di operazioni e così via. Ora, se le entrate di cui si tratta fossero rimaste periodiche, esse avrebbero continuato a far capo al segretario amministrativo, in caso contrario no. Perché sarebbero sta
te il risultato di incontri, di relazioni collegate più all’attività politica che a quella amministrativa».
DA PADRE FONDATORE A DEFENESTRATO DI RANGO
Giusto per far comprendere la portata delle dichiarazioni di Mancini, i magistrati milanesi, fanno tracciare allo stesso una sorta di autobiografia che così viene trascritta nel verbale: «Sono da sempre esponente del Partito socialista italiano e ho svolto anche le funzioni di segretario politico nazionale di detto partito fino all’anno 1972, epoca in cui la segreteria passò all’On. De Martino ed io assunsi alcune cariche istituzionali tra cui nel 1974 quella di ministro per il Mezzogiorno. Nel 1976 la segreteria politica venne affidata all’on. Bettino Craxi. Naturalmente anche successivamente tale data e a tutt’oggi sono membro onorario della direzione nazionale del Partito socialista italiano e fino al 6 aprile 1992 sono stato deputato al Parlamento italiano. Ritengo, quindi, di essere a conoscenza dei meccanismi di finanziamento del Partito socialista italiano nelle diverse epoche che presentano caratteristiche diverse».
E si va avanti, per ore con una minuziosa ricostruzione da parte di Giacomo Mancini di quello che è stato da sempre il finanziamento più o meno lecito dei partiti e cioè. Partendo da lontano, quando Pci e Psi avevano un percorso comune e anche i finanziamenti, che arrivavano dall’Est, erano comuni. La svolta arriva con gli anni sessanta, quando il Psi cerca la sua autonomia politica: «Anche in questo periodo le spese per il mantenimento delle strutture del partito e per la sua propaganda sono di modesta entità e sono state principalmente reperite nel settore delle partecipazioni statali e attraverso contributi di privati. In altri termini in quel periodo i responsabili all’epoca dell’Iri usavano dare dei contributi in nero anche al Partito socialista italiano. Parimenti alcuni, ma pochi, imprenditori privati davano anch’essi dei contributi in nero al Psi (ad esempio tra l’allora segretario Nenni e l’imprenditore Rizzoli vi era un rapporto di fraterna amicizia essendo gli stessi stati insieme nei “Martinitt” e per questa loro fratellanza l’imprenditore aiutava il vecchio amico Nenni)».
Avanti così, fino a quella che a verbale Giacomo Mancini indica come la «quarta fase, il periodo del post – Midas: Mi riferisco al periodo che va dal momento in cui ha assunto la dirigenza della segreteria politica l’on. Bettino Craxi fino ad oggi. E’ il periodo in cui l’on. Bettino Craxi diventa anche Presidente del Consiglio. Insomma inizia e si espande una nuova era del Partito Socialista piena di opulenza e di ricchezza».
CULTO DEI SOLDI E MITO DELLA PERSONA
La critica a questo punto diventa feroce, Mancini sa essere cattivo quando lo vuole e in quella circostanza, davanti ai pm di Mani Pulite ha deciso di essere cattivissimo perché detta a verbale: «Nascono grandi ambizioni politiche, grandi desideri di espansione e la politica di spirito di servizio finisce per diventare politica spettacolo. Predomina la cultura dell’immagine, quella della propaganda ed allora si spendono somme enormi per stampati, manifesti, poster, viaggi, libri, modi di vivere non confacenti. È il periodo in cui non si bada a spese perché parallelamente viene creato un sistema più proficuo di entrate, ciò in aggiunta ai fondi previsti dalla legge sul finanziamento ai partiti. Mi riferisco in particolare a gruppi imprenditoriali – tra cui la Montedison, Ligresti e il suo gruppo, il gruppo Berlusconi probabilmente. L’operazione Enimont è sicuramente connessa a vantaggi patrimoniali del Partito socialista. Insomma nel giro delle grandi operazioni finanziarie il Partito socialista occupa una posizione centrale nel senso che è l’ago della bilancia e quindi anche al Psi vengono versate somme di denaro per ottenere l’avallo in operazioni di rilevante consistenza. Preciso infine che la posizione del segretario amministrativo – e dell’On. Balzamo nella specie – è stata sicuramente quella di referente nelle questioni riguardanti i singoli appalti ma non può considerarsi la figura centrale del complesso delle operazioni politiche e finanziarie che hanno avuto come protagonista con gli altri partiti anche il Partito socialista italiano nella persona del suo segretario on. Bettino Craxi, al quale quindi devono riferirsi anche le decisioni sulle entrate provenienti dai gruppi finanziari in questione. Mi riferisco sia alle entrate provenienti al di fuori della legge sul finanziamento ai partiti o, addirittura, ad accordi non leciti».
Questo è stato, con buona pace dei manipolatori che oggi, per convenienza personale più che politica, vorrebbero riscrivere la storia con l’aiuto degli ascari di un pessimo giornalettismo fiancheggiatore.
Paolo Pollichieni
direttore@corrierecal.it
x
x