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Esistono le sentenze anti-lavoratore

Il giudice del lavoro di Catanzaro, Luca Mascini – cui mi ero rivolto per avere Giustizia dopo il mio “licenziamento in bianco” subìto ingiustamente dalla Fondazione Field a fine 2010 – mi ha lice…

Pubblicato il: 09/05/2015 – 10:24
Il giudice del lavoro di Catanzaro, Luca Mascini – cui mi ero rivolto per avere Giustizia dopo il mio “licenziamento in bianco” subìto ingiustamente dalla Fondazione Field a fine 2010 – mi ha licenziato anche dall’esistere. In sostanza, il giudice, rigettando il mio ricorso, ha condannato me e la mia famiglia a morte sicura, cancellando non solo il mio diritto sacrosanto al lavoro, ma calpestando la dignità di uomo e di padre di famiglia con due bambini a carico.
Il magistrato, accogliendo in toto le istanze presentate dall’avvocato Vincenzo Ferrari – incaricato a suo tempo da colui che mi aveva sbattuto fuori senza motivazioni dopo 10 anni di onorato servizio presso enti della Regione Calabria – ha infatti respinto il mio ricorso (in una causa di lavoro durata quasi 5 anni) in cui chiedevo, tramite l’ufficio legale del Sindacato dei giornalisti della Calabria (Fnsi), il reintegro immediato presso l’ente con il riconoscimento di tutti i miei diritti violati in tanti anni di lavoro (con periodi in “nero” assoluto presso enti istituiti per contrastare il lavoro nero).  
Chiedevo mi fosse riconosciuta la natura subordinata e la conseguente stabilizzazione dei rapporti di lavoro a progetto impugnati con la legge 183 del 2010 (cosiddetta “antiprecari”, nel senso che la norma prevedeva soltanto 60 giorni di tempo per poter fare ricorso, termine ultimo 24 gennaio 2011).  Questa legge prevedeva, ironia della sorte: “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro. 
Ho atteso in rispettoso silenzio cinque interminabili anni per vedere riconosciuti i miei violatissimi diritti, e dopo una incredibile sequela di rinvii, talvolta motivati dal nulla, ecco ieri la notizia della condanna a morte sentenziata dal giudice Mascini nei miei confronti. Una sentenza che sono costretto a rispettare ma di cui non condivido una sola riga poiché la ritengo assurda, crudele, iniqua, anti-lavoratore. Il magistrato in tutti questi anni ha acquisito le deposizioni del ricorrente, (la mia e quella di tre testimoni), ma nessuna della Fondazione Field, la quale ha determinato più rinvii talvolta perché non riusciva a recapitare gli inviti a comparire ai testi citati, talvolta per questi testi non si presentavano.  
Nonostante nelle udienze di questi cinque lunghi anni sia stata ampiamente confutato il rapporto subordinato tramite i documenti in atti e le uniche testimonianze a disposizione, tutte concordanti sul punto delle mansioni giornalistiche svolte e sulla subordinazione (testimoniò anche l’allora presidente della Fondazione Field, Mario Muzzì che ha riferito gli aspetti della subordinazione), il giudice ha invece inteso interpretare diversamente cancellando con un tratto di penna 10 anni di precariato, (in verità sono 15, con in 5 anni della Commissione regionale per l’emersione del lavoro nero) mandandomi dritto al patibolo di morte. Già, perché ha cancellato la mia esistenza con una sentenza filo datoriale molto discutibile. Riporta nella sentenza il giudice che io stesso durante la mia deposizione ho affermato che «non dovevo timbrare il cartellino all’ingresso». È questa circostanza, per il giudice «è un elemento di forte significato per escludere la subordinazione». Ma, chiedo al giudice Mascini, secondo lei se io avessi avuto un cartellino da timbrare mi sarei rivolto alla Giustizia per rivendicare i miei diritti violati? Se avessi avuto un cartellino da timbrare, signor giudice, sarei stato un felice dipendente pubblico a tempo intederminato, non un fantasma a progetto sfruttato e violentato nei suoi diritti e nella sua dignità.
Il giudice del lavoro, nonostante atti e testimonianze che chiariscono inequivocabilmente che svolgevo il mio lavoro giornalistico con attrezzature dell’ente, sotto direttive, orari prefissati (nonostante come appartenenti all’Ordine dei Giornalisti non siamo vincolati dal rispetto di orario e di ufficio) non ha ravvisato gli elementi di subordinazione, di elusione e anche di sfruttamento che spuntano dappertutto. Altro che cartellino!
Ho atteso 5 anni per una sentenza che non fa giustizia e fa precipitare nel baratro me e la mia famiglia con due minori a carico. Una famiglia già fortemente penalizzata da 5 anni di calvario a zero euro, senza lavoro, né sussidi, né ammortizzatori sociali né sostegno al reddito, privati insomma dei diritti più elementari, e solo Dio sa quante sono state le preghiere e le umiliazioni per avere qualcosa per sbarcare il lunario. Trattato quasi alla stregua di un criminale, discriminato, isolato, vessato e, alla fine ammazzato da un giudice che invece di fare giustizia per un lavoratore ha emesso per lui un sentenza di morte sommaria.  

*Giornalista precario della Regione Calabria

 

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