CATANZARO È stato presentato a Catanzaro il libro “Tra convenienza e sottomissione – Estorsioni in Calabria”, curato da Enzo Ciconte per la Fondazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane con la prefazione del procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho. Il libro, che analizza il fenomeno del racket in Calabria nel corso degli anni attraverso lo studio degli atti della magistratura e della Polizia giudiziaria, è stato presentato nel corso di un incontro all’Università Magna Grecia dal prefetto del capoluogo, Luisa Latella, e da Tano Grasso, presidente onorario della Fai, insieme a Gianluca Ferrarelli, collaboratore della cattedra di “Storia e dinamiche della mafia” e Armando Caputo, presidente dell’Associazione antiracket di Lamezia Terme. Tano Grasso, introducendo i lavori, ha sottolineato la valenza didattica del volume, mentre Ferrarelli ha chiarito come tutte le storie del libro «presentano il comune denominatore dell’arroganza nella predominanza del territorio da parte delle ‘ndrine» soffermandosi sul fatto che «fare impresa al Sud significa mettere in conto di dover affrontare una spesa in più che è il contrasto al racket». Un fenomeno, il racket, che, come ha spiegato Caputo, «nel territorio catanzarese è maggiormente radicato a Lamezia, dove l’egemonia delle cosche si afferma attraverso il pizzo, anche se, al contrario di quanto i criminali vogliono far credere, non pagano tutti». «Quello che dobbiamo domandarci – ha sostenuto Ciconte – è: come mai la ‘ndrangheta, che oggi ha volumi di affari nazionali ed internazionali miliardari, si interessa ancora ai 200 euro del racket? Le risposte sono due. La prima è che non tutti i mafiosi sono ricchi. L’immagine della ricchezza per ogni ‘ndranghetista è sbagliata. Come in tutte le società ci sono persone che hanno bisogno e per questo motivo estorcono. In secondo luogo l’estorsione per il mafioso rappresenta il legame con il territorio, il dominio, oltre ad essere un elemento di formazione per i giovani. Lo dimostra il fatto che anche l’imprenditore “straniero” deve sottomettersi al pizzo per lavorare sul territorio gestito dalle ‘ndrine». Ciconte ha anche parlato dell’autostrada A3 e «dell’epopea del cemento che ha coinvolto in epoca più recente il porto di Gioia Tauro. La ‘ndrangheta – ha detto – è diventata quello che è perché i grandi imprenditori del nord hanno trattato e fatto affari con imprenditori mafiosi del sud a partire dagli anni ’60 con la costruzione dell’Autostrada del sole, scendendo a patti con le cosche per paura dell’arroganza dimostrata. All’epoca le cosche non avevano il potere economico che hanno adesso e per acquistare i mezzi meccanici utili ai lavori per la costruzione dell’autostrada si sono inventati i sequestri di persona». Il racconto del prefetto Latella ha riguardato, invece, il territorio di Reggio Calabria. «La ‘ndrangheta – ha detto – afferma il suo potere attraverso la paura. Alla fine degli anni ’80, inizi ’90, a Reggio Calabria morivano 193 persone all’anno. Parliamo di migliaia di vittime per una guerra tra clan. Un territorio devastato dalla strategia utile ad affermare il dominio sul territorio. La “pacificazione” è avvenuta solo dopo l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti, voluto dalle cosche palermitane. Da quel momento i fenomeni iniziano a calare. Non perche’ cala l’interesse, ma solo perché ormai si era riusciti attraverso il terrore a penetrare ovunque». Il prefetto Latella ha anche sottolineato come sia necessaria «una presa di coscienza da parte della società, che deve reagire fermamente a questi atti e non timidamente come invece fa il popolo calabrese».
x
x