COSENZA Talpe tra gli «appartenenti alla polizia giudiziaria». Ecco perché si è reso stato necessario eseguire con urgenza un provvedimento di fermo nei confronti delle dodici persone coinvolte nell’operazione “Doomsday”, condotta dai carabinieri di Cosenza e coordinata dalla Dda di Catanzaro nei confronti di presunti esponenti del clan “Rango-Zingari”. «Tale pericolo di fuga – è scritto nel provvedimento – si desume dal fatto che i predetti indagati appaiono pienamente inseriti o contigui nell’organizzazione di tipo ‘ndraghetistico cosentina che dispone di risorse, uomini, basi logistiche e ogni altro mezzo in grado di garantire e assicurare la fuga e l’irreperibilità dei sodali, rendendo così attuale e concreto il relativo pericolo circostanza questa corroborata dal fatto che i vertici della cosca quali Ettore Lanzino e Francesco Presta sono stati tratti in arresto dopo anni di latitanza proprio perché essi godevano di una notevole e difficilmente penetrabile rete di coperture. Così come si evidenzia che uno dei vertici di tale associazione – Daniele Lamanna – si è reso irreperibile per molti mesi dopo l’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare che riguardava lui e il clan Rango-Zingari e che solo dopo laboriose attività investigative e di ricerca è stato catturato. Il concreto pericolo di fuga si rinviene anche dalla rete di appartenenti alla polizia giudiziaria di cui gli indagati e la cosca possono godere, circostanze queste che impongono l’esecuzione del fermo anche nei confronti di persone che si trovano agli arresti domiciliari». Una conferma di ciò deriva pure dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia che sono state inserite nel provvedimento di fermo.
Ecco che cosa dice a tale proposito il pentito Adolfo Foggetti in un interrogatorio reso lo scorso marzo e in alcune parti coperte da omissis: «Fu …omissis… a informare, sempre tramite …omissis…, Umberto Di Puppo, che tra il 24 e il 26 dicembre dell’anno precedente all’arresto di Lanzino, sebbene dell’anno non sia sicuro, sarebbe stato destinatario di una perquisizione. Perquisizione che avvenne puntualmente in quel periodo».
E in uno stralcio dell’interrogatorio dello scorso marzo del collaboratore di giustizia Ernesto Foggetti: «…Con riferimento alla domanda che l’ufficio mi pone con riguardo ad alti appartenenti alla polizia giudiziaria in generale che hanno avuto rapporti con le consorterie mafiose cosentine, rappresento che ho conosciuto e ho assistito personalmente a un episodio nel corso del quale un carabiniere …omissis…si era recato da Michele Bruni quando era in vita mettendolo in guardia del fatto che lo stavano cercando le forze di polizia per notificargli la sorveglianza speciale e lo rassicurava che da parte dello stesso …omissis…poteva stare tranquillo poiché lui nulla avrebbe fatto per procedere alla notifica. …omissis…Dopo la morte di Michele Bruni il carabiniere …omissis…strinse rapporti con Maurizio Rango. In un’occasione …omissis…interloquì con Rango che mi fece allontanare e una volta andato via …omissis…Rango mi riferì che era stato a sua volta informato dal carabiniere predetto circa l’inizio di indagini a suo carico».
Adolfo Foggetti, lo scorso gennaio ha riferito agli inquirenti: «…Abbiamo saputo che vi erano indagini in relazione alle intimidazioni che avevamo già perpetrato…omissis… Le notizie erano certe in quanto provenivano da Enrico Costabile il quale aveva un informatore che era un poliziotto in servizio presso …omissis…».
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it
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