LAMEZIA TERME Facevano paura, gli Iannazzo. Così tanta paura che gli imprenditori di Lamezia si sentivano obbligati a consegnare le mattezze spontaneamente. Regalie recapitate a casa del boss Vincenzino “U moretto” in occasione delle feste comandate. Pasqua, Ferragosto, Natale: Salvatore Mazzei, noto imprenditore ed ex titolare della cava di Lamezia, negli anni ha recapitato bustarelle di 2mila, 3mila e 5mila euro. «Ritenevo che omaggiare quello che era considerato capo di una famiglia importante nel panorama criminale lametino potesse preservarmi da future estorsioni da parte di altri gruppi criminali», ha spiegato Mazzei agli inquirenti. Si sbagliava. Perché gli Iannazzo – finiti al centro dell’operazione Andromeda, che oggi ha portato all’arresto di 45 persone – hanno scambiato la sua sollecitudine come segno di debolezza. E infatti «sono stato vittima – ha ammesso l’imprenditore – di altri esponenti della sua famiglia, che non mi hanno pagato per i materiali ricevuti oltre che di altri personaggi legati alle cosche del lametino».
TIMORE
Mazzei è del tutto succube del potere criminale del “Moretto”: «Ne ho sempre avuto e ne ho particolare timore». Ma c’erano altre “consorterie” ad avanzare richieste all’imprenditore, che si è ritrovato a pagare contemporaneamente, oltre agli Iannazzo, anche i clan Andricciola e Pagliuso. Lo stesso Mazzei rammenta che, nonostante il defunto Francesco Iannazzo (fratello di Vincenzino) lo avesse invitato a non dare più soldi agli altri gruppi, lui aveva deciso di accontentare tutti comunque, per una questione semplice: «Il quieto vivere».
CICCIO IANNAZZO
Non era necessario parlare espressamente di denaro. «Ciccio Iannazzo infatti – ricorda Mazzei – non mi chiedeva mai soldi in maniera diretta, ma prendeva spesso materiale dalla cava per la sua impresa che si occupava di movimento terra e spesso lasciava degli insoluti. Ho provato qualche volta a chiedergli i soldi, anche con telefonate alla sua abitazione, e a volte rispondeva la moglie, ma non mi sono mai stati dati. Alla sua morte il mio credito era di circa 60 milioni». Soldi mai più incassati. «Non ho mai pensato di agire per il recupero di questo credito in quanto mi avrebbero altrimenti ammazzato e oggi non sarei qui a parlare con voi», confessa l’imprenditore agli inquirenti.
Mazzei non ha mai denunciato volontariamente alcuna estorsione, ma è stato “costretto” alla luce degli elementi già acquisiti dalla polizia giudiziaria. Un atteggiamento «riconducibile – scrivono gli investigatori nell’ordinanza di arresto firmata dal gip Domenico Commodaro – al grandissimo timore e sottomissione nei confronti di tali personaggi riconosciuti quali esponenti di spicco della criminalità organizzata».
ESTORSIONI CONTINUE
Tutti i clan andavano a battere cassa da Mazzei: Cerra, Torcasio, Giampà. Ma le tecniche per estorcere denaro erano sempre diverse. «A volte – racconta l’imprenditore – sono stati spregiudicati e ci hanno violentato psicologicamente, chiedendo soldi in maniera esplicita e diretta a titolo di mazzetta», altre volte il ricatto avveniva attraverso altre richieste. «Nel momento che acconsentivo alle forniture di materiale, avevo ben chiaro che mi stavano facendo un’estorsione e che non avrei recuperato nulla. Non ho mai avuto il coraggio di denunciare queste cose perché ho famiglia e viviamo a Sambiase che è un paese, purtroppo, dove abitano anche molti soggetti legati a queste organizzazioni criminali».
Pietro Bellantoni
p.bellantoni@corrierecal.it
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