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Reggio, Azzarà: «Ai Riuniti non c'è un blocco operatorio ma un ospedale da campo»

REGGIO CALABRIA Un lavoro in progress, finalizzato, attraverso testimonianze foto e video, a informare l’opinione pubblica su ogni singola vicenda. Da questi presupposti muove l’azione avviata dall…

Pubblicato il: 15/05/2015 – 11:11
Reggio, Azzarà: «Ai Riuniti non c'è un blocco operatorio ma un ospedale da campo»

REGGIO CALABRIA Un lavoro in progress, finalizzato, attraverso testimonianze foto e video, a informare l’opinione pubblica su ogni singola vicenda. Da questi presupposti muove l’azione avviata dalla Federazione poteri locali della Uil, in merito alle tante criticità dell’Azienda ospedaliera Bianchi-Melacrino-Morelli di Reggio Calabria. Un viaggio fra disservizi, carenze strutturali e spreco di risorse pubbliche giunto oggi al suo secondo capitolo. Dopo il polverone sollevato con il caso della sala mortuaria ora è la volta del blocco operatorio. La struttura inaugurata nel 2012 per riorganizzare in chiave più razionale, le varie sale sparse in tutto l’ospedale e il cui costo complessivo si aggira intorno ai dieci milioni di euro. Una spesa enorme, secondo il segretario provinciale della Uil, Nuccio Azzarà, che nel corso di una lunga e articolata conferenza stampa, ha parlato fra le altre cose, anche di «ipotesi di corruzione», per una struttura che «di fatto non ha mai garantito livelli tali da garantire la tutela della salute pubblica».
Da qui una serie di interrogativi, a detta dell’Uil, ancora senza risposta: «Mi chiedo ad esempio – incalza Azzarà – chi ha preso in consegna questo blocco operatorio? C’è poi qualcuno che è nelle condizioni di certificare che il manufatto sia davvero a norma?». Questioni basilari, secondo il sindacalista che ricorda come «la struttura di fatto nasca all’interno di un’area cortilizia, dunque contro ogni normativa in materia».
Ma non sono solo le questioni burocratiche al centro della dura denuncia. «Gli operatori – prosegue Azzarà – sono costretti a operare in condizioni indicibili. Basti pensare che il sistema di purificazione dell’aria all’interno della sala operatoria non rispetta i due parametri richiesti dalla legge, ovvero il rigoroso monitoraggio della temperatura e del livello di umidità. La prima dovrebbe attestarsi intorno ai venti gradi, mentre la seconda non dovrebbe superare il 38 per cento. Ebbene ai Riuniti si opera a temperature notevolmente più elevate e con livelli di umidità che sfiorano anche l’ottanta per cento. E va detto che una quota importante di quei dieci milioni di euro è finita proprio in lavori per la climatizzazione». Impietosa, al riguardo, la documentazione fotografica realizzata dall’Uil in cui fanno “bella mostra” condutture fatiscenti, perdite diffuse, fessure nel controsoffitto proprio sopra il tavolo operatorio, riparazioni improvvisate e persino un sistema informatico per la gestione dell’intero ciclo, completamente fuori causa. «D’altro canto – spiega il segretario – la ditta non ha mai fornito la password per attivarne il funzionamento».
A risentirne è l’intera filiera che dovrebbe condurre, in maniera sterile e in sicurezza, un paziente direttamente sotto i ferri del chirurgo. «Non funzionano nemmeno i traslatori per trasportare il paziente in sala operatoria – denuncia ancora Azzarà – per cui i letti arrivano direttamente dai reparti. E va detto che non esiste nemmeno il minimo rispetto degli standard operativi dei protocolli di sicurezza che prevedono due check list, prima e durante l’intervento».
Ad allarmare è anche la condizione delle tubature dell’acqua che, secondo quanto rilevato dall’Uil, costringerebbe i chirurghi a lavarsi le mani con acqua proveniente dai pozzi dell’ospedale, quindi non pura. E nel capitolo sprechi, bisogna aggiungere il caso “I.O.R.T.”, il macchinario ad alta tecnologia costato un milione di euro circa, fondamentale per il trattamento delle patologie tumorali direttamente all’interno della sala operatoria. «È tenuto fermo, ancora incartato, ma purtroppo non ci sono gli spazi idonei per la sua movimentazione dato che il tetto della sala operatoria è stato costruito ad un’altezza non conforme. Così come, incredibilmente, non è stato progettato un percorso che consenta di separare materiali e indumenti sporchi da quelli sterili. Insomma diteci se questa è una sala operatoria o un ospedale da campo».
Irto di ostacoli appare anche il tragitto tramite ascensori all’interno dei Riuniti di Reggio Calabria. Emblematica in tal senso la foto che ritrae quella che, assicurano dal sindacato, è ormai una scena ricorrente: un letto con paziente, il carrello con il vitto, rifiuti speciali e normali cittadini. Tutti in attesa dello stesso ascensore.
«E un capitolo a parte meriterebbe la situazione degli impianti elettrici, se consideriamo che gli stessi tavoli operatori hanno una messa a terra completamente fuori norma, con il rischio che da un momento all’altro si possa verificare un nuovo caso Monteleone».
La situazione è critica anche sul fronte organizzativo, rispetto al quale l’Uil chiede chiarezza con riferimento alle discrepanze più volte evidenziate nelle liste d’attesa. «Chiediamo – ribadisce Azzarà – che venga istituito un soggetto terzo, che garantisca equità e trasparenza. Abbiamo rilevato casi di ernia costati anche mille euro. E non è ammissibile, oltre che disumano, che in un ospedale di questa importanza, non vengano fatte le certificazioni sui pezzi istologici prelevati all’interno delle sale operatorie».
Chiudere il blocco operatorio, e intervenire su tutte le criticità sollevate dall’Uil, sarebbe la logica conseguenza di tutto ciò. «Ma ci rendiamo conto – chiarisce Azzarà – che ciò non è così semplice da attuare. In ogni caso non sta a noi dire come bisogna intervenire. Occorre però individuare immediatamente le responsabilità di chi ha amministrato in passato e di chi c’è adesso. Lo stesso commissario dell’Azienda, Frank Benedetto e il direttore sanitario, Giuseppe Doldo conoscono benissimo tutta questa situazione. Ci aspettiamo in tempi brevi una chiara assunzione di responsabilità».

 

Luigi De Angelis

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