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Le minacce del boss, la tenerezza del cronista

Nella vita di un cronista sono tantissime le telefonate che, arrivando, cambiano il corso delle cose. Figuriamoci quanto questa regola possa valere nelle vita di un cronista come Sandro Ruotolo. Os…

Pubblicato il: 16/05/2015 – 14:03
Le minacce del boss, la tenerezza del cronista

Nella vita di un cronista sono tantissime le telefonate che, arrivando, cambiano il corso delle cose. Figuriamoci quanto questa regola possa valere nelle vita di un cronista come Sandro Ruotolo. Ostinato, risoluto, legato indissolubilmente alla strada, caparbio quanto serve per dominare anche la paura e il calcolo dei rischi che si vanno a incontrare quando si è coerenti con la propria storia. Da ultimo due telefonate, per ragioni diverse, immaginiamo abbiano oggettivamente inciso sul “corso delle cose”, con riferimento al quotidiano lavoro di cronista di Sandro.
La prima l’ha ricevuta alla vigilia dalle festività del Primo maggio. Il prefetto Franco Gabrielli, che si era appena insediato alla guida della Prefettura di Roma lasciando la guida della Protezione civile, lo informava che aveva urgenza di incontrarlo. Sul suo tavolo era arrivato un dossier che, «per competenza territoriale e funzionale», gli veniva girato dalla Procura distrettuale antimafia di Napoli. Conteneva l’arida trascrizione delle minacce che il boss Michele Zagaria riservava a a Sandro Ruotolo. Lo vuole morto, dice ai suoi scagnozzi, lo vuole «scannare» perché ci sono cose che molti sanno ma che occorre lasciare nel vago, non approfondire. Tra queste i rapporti che, agli inizi del 2000, legavano gli uomini del clan a quelli dei servizi segreti deviati con l’obiettivo di sbarazzarsi per le vie brevi di rifiuti nucleari e altamente tossici.
Fa raccapriccio leggere le minacce di Zagaria. Parla in maniera disinvolta perché convinto di non essere ascoltato. Le “cimici”, gli uomini del Ros, le hanno piazzate in una cella diversa dalla sua. Ritiene, il boss, che quella sia un’area non contaminata dalle microspie autorizzate dai magistrati. Ma ancora più raccapriccio crea ascoltare dal vivo le parole del boss, il tono accidioso che accompagna l’impegno a «squartare» quel «Ruotolo di merda» che seguita a dire della Terra dei fuochi, che continua a indagare sul campo, che si ostina a portare le telecamere sui luoghi dove i macellai della camorra e quelli dei servizi deviati hanno interrato veleni capaci di uccidere intere comunità.
Capisce così, Sandro Ruotolo, che questa volta la scorta non gli viene “offerta” ma “imposta”. In passato è riuscito a “trattare” e a evitarla, non gli piace andare in giro con la “blindata” e con angeli custodi armati. Lo trova non in linea con il mestiere che ha sempre fatto e che vuole continuare a fare. Vuole restare quel che è sempre stato: un cronista di strada. Sereno, pieno di dubbi, innamorato della verità, curioso. E soprattutto onesto.

 

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Commentando, in qualche occasione, le gesta di “colleghi” meno ortodossi che “aiutavano” il reportage “arricchendolo” con riprese artefatte e testimonianze fasulle, non si dava pace: «Già la verità che abbiamo davanti è così schifosa, che bisogno c’è di aggiungere alle schifezze degli altri anche le nostre!».
Anche sulle minacce, finché si è potuto, si preferiva ironizzare. I cronisti di razza sanno distinguere tra i rischi veri e quelli “annunciati”. Tra i mafiosi educati che ti scrivono un mucchio di lettere e ti mandano mille messaggi. Letterine che usano violenza più alla grammatica (e all’intelligenza) che alle persone. E i mafiosi bastardi, quelli che non dicono nulla ma poi ti fanno saltare la macchina e che invece della bomba carta preferiscono il tritolo autentico. O quelli, appunto, che in diretta li senti argomentare le ragioni per le quali intendono “squartarti”.
La seconda telefonata “particolare”, Sandro Ruotolo l’ha ricevuta da Matteo Renzi. Gli ha fatto piacere e non certo perché dall’altra parte a dargli solidarietà e incoraggiamento ci fosse il presidente del Consiglio. Quarant’anni di mestiere e di “strada” ti rendono immune anche da ogni piaggeria, una telefonata illustre non ti sconvolge la vita, ma quella di Renzi ha avuto il pregio di apparire sentita e disinteressata. Ha dato la misura che il tuo lavoro, il modo con cui lo svolgi, darà anche qualche dispiacere al “potere”, ma non per questo non ne viene apprezzata l’importanza. Due telefonate, dunque, cambiano lo scenario nel lavoro quotidiano di Sandro Ruolo. Non ne cambiano, però, né il ritmo e né la direzione.
Si resta in strada, si resta dalla parte degli ultimi. Sandro Ruotolo continua a macinare chilometri e a raccontare le cose. Come ha sempre fatto: dai sequestri all’Afghanistan, da Gomorra alla Libia. Dalle fabbriche occupate ai martiri di Lampedusa. Incrociando storie terribili e raccontando nefandezze imperdonabili… senza mai, come titolò Paco Igacio Taibo II nel suo meraviglioso libro sul “Che”, “perdere la tenerezza”.
Così spieghi il fatto che dall’amico di sempre, che l’arroganza mafiosa vorrebbe toglierti perché lo intende «squartare», ti arriva la foto che più lo ha commosso, la solidarietà che più lo ricaricato: quello striscione di giovani extracomunitari che deve diventare manifesto di impegno civile per tutti noi: «Con Sandro Ruotolo, contro ogni razzismo, contro ogni camorra!».

 

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