Nessuno può mettere in dubbio l’improrogabile esigenza di riformare strutturalmente la sanità. Una riforma organica e non già fatta attraverso interventi parziali e fini a se stessi, in quanto tali pericolosi per l’assistenza ordinariamente acquista dalla collettività.
In tale ottica vanno, pertanto, banditi gli interventi effettuati per segmenti, tutti protesi a fornire l’idea del rinnovamento teorico a prescindere dalla loro reale utilità pubblica. Fatti cosi valgono poco, più o meno quanto uno spot televisivo. e mettono a rischio l’intervento unitario e globale, che costituisce il piatto forte del sistema sanitario sanitario, così come idealizzato e voluto nel 1978.
Il primo dovere del legislatore è dunque quello – in attesa di elaborare una profonda riforma del sistema sanitario nazionale – di riordinare ciò che non va senza traumi, ma soprattutto senza violare i migliori principi fondanti dell’ordinamento salutare, ancorati al rapporto fiduciario che lega i cittadini con i “medici di famiglia”. Un obiettivo non facile da conseguire, attese anche le diverse condizioni di “vivibilità” dei Lea che rendono inaccettabili le prestazioni rese dalla gran parte dei cittadini residenti nelle regioni meridionali, offesi da una gestione spesso vergognosa, fatta di soprusi alla meritocrazia, di una politica che l’ha sfruttata a fini esclusivamente elettoralistici, di una burocrazia connivente e, spesso, avvezza all’affarismo, di un uso del danaro pubblico che a definirlo distorto si è generosi nei confronti degli usuari istituzionali, di Lea che non sono tali e di una rete dei controlli esercitata frequentemente con i limiti tipici delle filiere sudamericane, ove quasi tutto si rende impunemente possibile.
A fronte di tutto questo vi è la necessità di salvaguardare i cardini dell’attuale assistenza di primo livello che, in assenza di una assistenza territoriale che meriti di essere definita tale, ha assicurato gli attuali standard, certamente da rivedere al rialzo solo che si voglia garantire un più apprezzato livello di tutela della salute in senso lato.
Al riguardo, il governo Renzi si sta comportando come i suoi predecessori, pur avendo i numeri e la capacità di volare molto più in alto. Agisce (meglio, tenta di farlo) per compartimenti stagni e, quindi, in modo disorganico e disordinato, rischiando di buttare via il bambino con l’acqua sporca.
Viene così fuori – nella trascuratezza dei diritti sociali da rendere sempre meglio esigibili – il tentativo di mettere in discussione l’attuale rapporto convenzionale con i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta, con il rischio di violare l’ineludibile principio della libera scelta dei cittadini di individuare il prestatore professionale cui affidare la propria salute e quella dei propri figli.
Un’iniziativa che serve solo a danneggiare l’attuale assetto assistenziale e – per altri versi – a non risolvere i limiti assistenziali che l’attuale filiera dei “medici di famiglia” presenta. Un sistema da rivedere nel senso di (ri)attribuire loro ruoli rinnovati – soprattutto collaborativi – (magari) a saldo zero, strumentali a rendere più strette e produttive le maglie della rete assistenziale del territorio.
Una materia da riscrivere senza tuttavia snaturare il rapporto fiduciario medico-assistito che ha rappresentato, sino ad oggi, l’elemento sostitutivo di un’assistenza territoriale organica che latita ovunque. Un rapporto che, così come (neo)individuato, si snaturerebbe a tal punto da divenire un’altra cosa, meglio la cattiva imitazione di ciò che era, dal momento che quel “contratto” – che legava l’assistito a quel professionista anche perché con lo studio sottocasa, ma certamente fondato sull’intuitu personae – avrà necessità di essere rivisto a causa della sensibile mutazione delle condizioni determinanti la originaria scelta. Un caos indefinito per gli uni (assistiti) e gli altri (medici), questi ultimi alla “ricerca di un autore” più saggio e consapevole per l’individuare meglio il loro ruolo. Un ruolo certamente da rivedere, nel senso di farlo divenire strumento interdittivo all’eccessiva domanda di ricovero, sulla quale i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta dovranno recitare, comunque, un qualche mea culpa. Snaturarne il loro compito, attraverso la spersonalizzazione dell’offerta, renderebbe la situazione più perniciosa di quella che è oggi. Determinerebbe una pesante ricaduta sugli ignari cittadini – sulla cui pelle si decide soventemente con troppa faciloneria – derivante dallo smarrimento dell’utenza, abituata ad avere una entità professionale fissa: il medico fiduciario di famiglia, cui fare sempre e comunque riferimento, tanto da sopportarne, di tanto in tanto, qualche assenza o trascuratezza di troppo.
*docente Unical
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