Se prima era un rischio adesso siamo a una quasi certezza: in Calabria si deve tornare al voto essendo da annullare le ultime elezioni perché i cittadini hanno votato con una legge elettorale emanata da un consiglio regionale in “regime di prorogatio”, laddove la Corte costituzionale, con sentenza depositata venerdì 15 maggio e notificata ieri al governo, ha stabilito che tutte le leggi approvate che esorbitano dai limiti dell'”ordinaria amministrazione” o dalla categoria degli “atti urgenti dovuti”, sono nulle perché violano l’articolo 123 della Costituzione.
Tale sentenza (la numero 81, presidente Criscuolo, redattore de Pretis), definitivamente giudicando su un ricorso proposto dal presidente del Consiglio dei ministri il 7 luglio 2014, sancisce che «con riferimento agli organi elettivi, e segnatamente ai consigli regionali, deve ritenersi che l’istituto della prorogatio, a differenza della vera e propria proroga, non incida sulla durata del mandato elettivo, ma riguardi solo l’esercizio dei poteri nell’intervallo fra la scadenza, naturale o anticipata, di tale mandato, e l’entrata in carica del nuovo organo eletto».
E ancora: «Nel periodo compreso fra la scadenza del mandato del consiglio regionale e la proclamazione degli eletti nelle nuove elezioni, i consigli regionali dispongono di poteri attenuati, confacenti alla loro situazione di organi in scadenza; pertanto devono limitarsi al solo esercizio delle attribuzioni relative ad atti necessari e urgenti, dovuti o costituzionalmente indifferibili. Essi, inoltre, devono comunque astenersi, al fine di assicurare una competizione libera e trasparente, da ogni intervento legislativo che possa essere interpretato come una forma di captatio benevolentiae nei confronti degli elettori».
E, a scanso di equivoci, ecco che la sentenza della Corte costtuzionale chiarisce la natura degli atti aventi requisito di necessità e urgenza: «Il requisito della necessità e dell’urgenza, che legittima il consiglio regionale a esercitare i propri poteri in regime di prorogatio, evoca l’esigenza che l’intervento normativo sia adottato nell’immediatezza della grave situazione alla quale esso intende porre rimedio, perché diversamente verrebbero travalicati i limiti connaturati all’istituto della prorogatio, che implicano non soltanto la gravità della situazione che forma oggetto dell’intervento, ma anche la sua improcrastinabilità». È illegittima – per contrasto con l’articolo 123 – pertanto la riforma della legge elettorale «dalla quale il consiglio regionale, secondo la giurisprudenza costituzionale avrebbe dovuto comunque astenersi al fine di assicurare una competizione libera e trasparente».
Fin qui i rilievi di carattere generale, che poi sono quelli che adesso avrebbero ripercussioni sulla questione calabrese, indirettamente, però, altre annotazioni e prescrizioni della sentenza emessa il 15 maggio con riferimento alla Regione Abruzzo finiscono per fornire un pericoloso precedente in vista dell’esame della questione sollevata dal Tar di Catanzaro con riferimento alle ultime elezioni regionali in Calabria. Le censure mosse alla Regione Abruzzo, («Dall’esame della legge impugnata non emergono, né i requisiti di indifferibilità e urgenza (come nel caso di leggi che approvano il bilancio di previsione, l’esercizio provvisorio o una variazione di bilancio), né la sua qualità di atto dovuto (come nel caso di legge che recepisce una direttiva comunitaria direttamente vincolante per le Regioni) o riferibile a situazioni di estrema gravità, tali da non consentire un rinvio, per non recare danno alla collettività regionale o al funzionamento dell’ente. Il Consiglio regionale avrebbe pertanto esorbitato dai limiti propri della sua condizione di organo in prorogatio») sarebbero esattamente sovrapponibili alla situazione registratasi in Calabria, laddove il consiglio regionale uscente, guidato dall’ineffabile presidente Franco Talarico, ha modificato la legge elettorale e legiferato su materie che erano tutt’altro che “urgenti” o “indifferibili”.
E infatti la sentenza odierna della Corte costituzionale rimarca: «Conformemente ai precedenti casi in cui questa Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla denunciata violazione dei poteri in regime di prorogatio (sentenze numero 181 del 2014 e numero 68 del 2010), questa Corte ha poi chiarito, con specifico riferimento agli organi elettivi, e segnatamente ai Consigli regionali, che «[l]’istituto della prorogatio, a differenza della vera e propria proroga (cfr., rispettivamente, art. 61, secondo comma, e art. 60, secondo comma, Cost., per quanto riguarda le Camere), non incide […] sulla durata del mandato elettivo, ma riguarda solo l’esercizio dei poteri nell’intervallo fra la scadenza, naturale o anticipata, di tale mandato, e l’entrata in carica del nuovo organo eletto» (sentenza numero 196 del 2003; nello stesso senso, sentenze n. 44 del 2015 e n. 181 del 2014) e ha altresì affermato che «È pacifico […] che l’istituto in esame presuppone la scadenza, naturale o anticipata, del mandato del titolare dell’organo. Prima di tale scadenza, non vi può essere prorogatio».
Adesso la palla passa a Palazzo Chigi, il cui ufficio legislativo è mobilitato per capire bene le ripercussioni che la sentenza di venerdì avrà sull’assetto delle Regioni interessate. Le prime impressioni, come detto, sono però tutt’altro che ottimistiche con riferimento al futuro della nuova legislatura avviata in Calabria.
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