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"Dine out", gli inquirenti: le vittime preferiscono pagare

COSENZA Si preferisce pagare pur di riavere l’automobile indietro e non denunciare. È l’amara conclusione a cui sono giunti gli inquirenti al termine delle indagini dell’operazione “Dine out”, cond…

Pubblicato il: 19/05/2015 – 10:48
"Dine out", gli inquirenti: le vittime preferiscono pagare

COSENZA Si preferisce pagare pur di riavere l’automobile indietro e non denunciare. È l’amara conclusione a cui sono giunti gli inquirenti al termine delle indagini dell’operazione “Dine out”, condotta dal Nucleo investigativo del comando provinciale dei carabinieri di Cosenza che ha portato in carcere sette persone per il cosiddetto “cavallo di ritorno”. «Abbiamo chiamato l’operazione “Dine out” (A cena fuori), perché da alcune conversazioni intercettate è la frase che veniva usata quando dovevano compiere un furto». Lo ha detto il colonnello dei carabinieri del comando provinciale di Cosenza, Giuseppe Brancati, illustrando i dettagli del blitz. Gli arrestati sono Franco Abbruzzese, Hamid Zoubir, Ivan Trinni, Patrizia Berlingieri, Leonardo Berlingieri, Anna Manzo, Dorin Adrian Teglas. Quest’ultimo è ai domiciliari. Un’ottava persona è stata sottoposta all’obbligo di firma. Tra gli arrestati Trinni, ex consigliere circoscrizionale di Cosenza. «Le indagini – ha aggiunto Brancati – sono iniziate un mese fa. Questa è l’altra faccia delle estorsioni. Sono questi i veri e propri parassiti della società». Le indagini sono state condotte dal sostituto procuratore Antonio Bruno Tridico e coordinate dal procuratore aggiunto Marisa Manzini. «Il nucleo investigativo – ha detto Manzini – è riuscito senza aiuto delle vittime a smascherare queste persone. Si è registrata ancora una volta una mancanza di collaborazione. Tra gli arrestati c’è una persona che ha subito un furto e che non ha mai confessato di avere pagato. Questa mancanza di collaborazione non permette di fare cose più importanti. Il furto degli automezzi riguarda tutti e si verifica spesso». «Si tratta – ha spiegato il comandante del reparto operativo, tenente colonnello Vincenzo Franzese – di un fenomeno tristemente noto come cavallo di ritorno perché ci sono persone che quasi in modo professionale sono dedite a questa attività illecita quanto lucrosa. In un caso specifico la vittima ha dovuto sborsare 2.500 euro». I particolari dell’operazione sono stati illustrati dal capitano Michele Borrelli, comandante del Nucleo investigativo: «Le indagini sono iniziate nell’ultimo semestre del 2014. E sono partite dalla denuncia di un furto. Gli autori dei furti sanno a chi si devono rivolgere e hanno i numeri di telefono che rintracciano dai dati presenti sul libretto. Poi dall’indirizzo sul libretto risalgono al numero di telefono. In un caso hanno chiamato una vicina di casa. Si usavano cabine telefoniche. Abbiamo monitorato più cabine telefoniche di Cosenza. Queste richieste non sono vere e proprie minacce ma c’è la rassegnazione delle parti offese. Si parte da una cifra di alcune migliaia di euro per poi scendere a importi più ragionevoli. Dopo il pagamento, la macchina viene lasciata dove era stata rubata. Quindi le vittime poi chiamavano i carabinieri per comunicare di averla ritrovata. In un’occasione abbiamo assistito a una doppia richiesta estorsiva nei confronti di una vittima che aveva apparecchiature medicali in macchina. I soggetti coinvolti sono rom di Cosenza, un cittadino marocchino e un rumeno. Ciò dimostra che questi ultimi probabilmente hanno intessuto rapporti con i zingari. Bisogna notare che le donne hanno avuto una parte attiva. In un caso è stato usato un bambino come copertura. Le richieste non avvenivano quasi mai con minacce. Di solito non si arriva mai alla seconda telefonata. Uno – ha concluso – ha obbligo di prenotazione alla po’. Parte attiva avuta dalle donne che hanno fatto le richieste estorsiva, in alcuni casi, è stato usato un bambino che serviva come copertura».

 

Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it

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