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PLINIUS 2 | Le "regole" del clan Stummo-Valente

SCALEA Non sono bastati arresti e condanne anche pesanti. Non sembrano essere serviti neanche i sequestri milionari, né la detenzione dei capi storici. Come una malapianta, gli Stummo e i Valente, …

Pubblicato il: 21/05/2015 – 16:47
PLINIUS 2 | Le "regole" del clan Stummo-Valente

SCALEA Non sono bastati arresti e condanne anche pesanti. Non sembrano essere serviti neanche i sequestri milionari, né la detenzione dei capi storici. Come una malapianta, gli Stummo e i Valente, referenti su Scalea del potente clan Muto di Cetraro, hanno continuato a imperversare nell’Alto Tirreno cosentino e a imporre con ferocia le proprie regole, contaminando la società, l’economia, le istituzioni del territorio.
È questa la fotografia criminale scattata dalla Dda di Catanzaro con l’operazione Plinius 2, che all’alba di oggi ha portato all’arresto di 22 affiliati alle ‘ndrine di Scalea, da tempo in contrasto per affermare la propria supremazia su affari e territorio, ma per ordine del clan Muto in grado – hanno dimostrato diverse inchieste – di lasciarsi imbrigliare in una tregua e lavorare insieme per il medesimo obiettivo. In occasione delle elezioni amministrative del 2010 – ha dimostrato la prima inchiesta Plinius – insieme hanno appoggiato, coese, la candidatura a sindaco di Pasquale Basile, trovando costanti punti di accordo per la gestione dei propri interessi e per la spartizione dei compensi derivanti da accordi corruttivi, come per le ditte cui aggiudicare gli appalti pubblici.

 

LE ‘NDRINE DOMINANO ANCORA
Attività che l’arresto dei capi storici – ipotizzano i magistrati e conferma il gup – non ha interrotto. «Proprio l’esame delle modalità di commissione dei reati-fine di tipo estorsivo oggetto della presente mozione cautelare – si legge infatti nelle carte – costituisce la prova tangibile dell’attuale persistenza del potere mafioso, da parte della cosca oggetto di indagine — articolata nelle due fazioni Valente e Stummo – sul territorio di riferimento».
Oggi come allora, non si tratta di famiglie autonome, ma di articolazioni locali del ben più potente clan Muto, che da Cetraro decide chi fra le due debba tenere lo scettro del comando su Scalea in mano. Un dato che emerge con chiarezza dalle conversazioni intercettate in carcere, ad esempio tra Francesco Saverio La Greca e la sorella Amelia, che si premurava di informarlo che “lo stalliere” Emilio Iacovo, emissario dei Muto, aveva individuato come nuovo fiduciario uomo dei Muto, dunque per gli Stummo «le porte sono chiuse».
Dello stesso tenore, le confidenze intercettate tra il boss Mario Stummo e il nipote Antonio Stummo, che informa lo zio sui nuovi equilibri criminali imposti dall’emissario dei Muto all’esterno, mettendolo in guardia : «Lo stalliere di Cetraro – dice il giovane – vedi che va parlando male di te».
Una frase allusiva, resa sibillina dall’ordine del boss «parliamo solo di cose lecite», ma che per gli inquirenti ha un significato chiaro: mentre il boss era dietro le sbarre, i Muto avevano progressivamente promosso la fazione opposta al comando della scena criminale.

 

IMPRENDITORI SOTTO SCACCO
Un “declassamento” che tuttavia non ne ha limitato l’operatività. Al contrario, sono stati proprio i reati che hanno continuato a commettere a rendere visibile la loro presenza sul territorio. Dalle classiche estorsioni all’imposizione di ditte, come quella riconducibile a La Greca imposta al condominio “Le tamerici” per un contratto di manutenzione ordinaria, di forniture, assunzioni o guardiania, come nel caso denunciato dall’imprenditore Francesco Paolo De Franco, che ai magistrati di Catanzaro racconta: «Due giovani di Scalea, Ettore Arcuri e Rodolfo Pancaro, da me conosciuti di nome perché di dominio pubblico essere vicini ad ambienti delinquenziali e che di fatto gestiscono insieme un piccolo parco giochi a Scalea su corso mediterraneo, mi avvicinavano mentre ero intento a espletare lavori manutentivi di un giardino di una villa del Parco amministrato da mia moglie. I due (…) subito mi chiedevano di essere assunti alle dipendenze del parco. Subito mi stranivano perché precisavano di non avere nessuna intenzione di espletare lavori di qualsivoglia natura, precisavano che la loro assunzione avrebbe garantito sicurezza alla struttura oltre a sollecitare e poi garantire che nessun condomino potesse essere insolvente nei pagamenti condominiali. Ricordo che proferivano parole del tipo: «Non pensare che però veniamo a lavorare con mazze, scope e altro, però ti assicuriamo contro mancati pagamenti e problemi in genere».

 

RICHIESTE
Richieste che gli uomini del clan non avevano alcun timore di fare perché – spiegherà Giuseppe Crusco all’imprenditore Carmelo Araugio, titolare di un noto stabilimento balneare a Scalea – «le forze dell’ordine non possono arrivare dappertutto, non possono essere presenti ovunque».
Nel riferire quella conversazione ai magistrati, l’imprenditore spiegherà: «Mi faceva capire che per essere tranquillo e sicuro ho bisogno della loro protezione. Mi ha fatto capire che il suo gruppo può aiutarmi anche nella gestione di pratiche». Allusioni che inducono gli inquirenti a pensare che il clan «disponga ancora di qualche “aggancio” all’interno delle istituzioni e abbia, purtroppo, verosimilmente, ricominciato nella sua opera di “infiltrazione e inquinamento” della cosa pubblica». Un’ipotesi su cui inquirenti e investigatori continuano a indagare.

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