RIZZICONI Edifici e ville di pregio, immobili conclusi e in costruzione, appartamenti, fabbricati, imprese, quote societarie, conti correnti e titoli Agea per un valore stimato di oltre sei milioni di euro. È questo il valore del patrimonio sequestrato oggi dalla Squadra mobile di Reggio Calabria agli uomini del clan Crea di Rizziconi, messi in ginocchio nel giugno scorso dall’operazione Deus, che ha portato non solo all’arresto del capo storico, Teodoro Crea, ma anche di buona parte dei suoi familiari e del nucleo direttivo della cosca, tutti accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, intestazione fittizia di beni e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Insieme a familiari del boss e uomini del clan erano finiti in manette anche diversi imprenditori e tre ex consiglieri comunali di Rizziconi, Vincenzo Alessi, Girolamo Cutrì e Domenico Rotolo.
Secondo quanto emerso dalle indagini della Dda reggina, sarebbero stati proprio i Crea i veri registi delle manovre che nel 2011 hanno determinato il crollo dell’amministrazione guidata dal sindaco Antonino Bartuccio, naufragata a causa delle dimissioni della maggioranza più uno dei consiglieri. Una vicenda finita al centro dell’indagine che in seguito ha portato all’arresto del boss Crea e dei suoi familiari, padroni incontrastati del piccolo centro della Piana e delle sue istituzioni. Nell’ambito di quell’inchiesta tuttavia, era emerso anche che il figlio del boss, Giuseppe Crea (di 37 anni), negli anni della sua latitanza avrebbe falsamente attestato di essere un imprenditore agricolo, riuscendo a strappare oltre 180mila euro di contributi comunitari relativi al piano di sviluppo Rurale all’Agea “solo” 50mila euro ciascuno – hanno scoperto inquirenti e investigatori – erano riusciti ad ottenere il padre Teodoro Crea, la madre Clementina Burzì e la sorella Marinella, che oggi per questi reato sono chiamati a rispondere. Ma questi non erano gli unici profitti illeciti che nel corso del tempo uomini e donne del clan erano riusciti ad ottenere. Per i giudici che hanno disposto il sequestro dei beni riconducibili al boss Teodoro Crea, ai figli Giuseppe e Domenico, tuttora latitanti, alla figli Marinella, e ai luogotenenti del clan Antonio “u Malandrinu” e Domenico “Scarpa Lucida” Crea, tutti quanti, solo grazie ad attività illecite, erano riusciti ad accumulare un ingente capitale, sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati, che reinvestivano nell’acquisto di terreni, società e beni immobili, intestati, al fine di eludere la normativa antimafia, ai propri familiari o a soggetti terzi. Un capitale oggi finito sotto sequestro.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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