Sarà stata l’urgenza di sgomberare rapidamente il Palazzo di Giustizia di Cosenza a costringere la Corte a chiudere rapidamente l’udienza odierna del processo sull’avvelenamento dell’Oliva. D’altronde un’allarme bomba – poi fortunatamente rientrato – aveva una priorità assoluta rispetto alla disamina di alcuni testimoni che per complessità degli argomenti trattati e coinvolgimento dei temi non facili da sviluppare in breve tempo non poteva essere liquidato con la stessa rapidità di una situazione emergenziale come quella vissuta oggi al Tribunale di Cosenza.
È finita così per prevalere la richiesta – non certamente casuale – della difesa di chiedere l’acquisizione degli atti piuttosto che ascoltare delicate testimonianza su cosa è stato rinvenuto nell’alveo del fiume Oliva e nei terreni che insistono nella vallata. Non bisogna dimenticare che tra i testi presenti oggi davanti la Corte d’Assise di Cosenza – dove si sta celebrando il processo per disastro ambientale e morte in conseguenza dell’avvelenamento delle acque del fiume che vede sul banco degli imputati l’imprenditore Cesare Coccimiglio e i quattro titolari di terreni nella zona – c’erano consulenti di primo piano dell’accusa nonché i tecnici dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente che hanno operato in prima persona in quell’area.
Anni di studi e ricerche che hanno permesso di mettere nero su bianco il lungo elenco di sostanze tossico-nocive e anche radioattive presente nei terreni dell’Oliva. Basti pensare che tra chi doveva essere sentito dalla Corte d’assise c’era la dottoressa Rosanna De Rose – docente dell’Unical – che aveva certificato la presenza di mercurio, tallio e selenio in percentuali altissime. Tra tutti, la contaminazione riscontrata dell’area attorno alla briglia in località Foresta dove nel corso degli accertamenti – effettuati proprio dalla De Rose nel gennaio del 2011 – ne venne certificata la presenza massiccia: valori dieci volte superiori ai limiti previsti in natura. Ma c’è di più.
Nel piezometro (strumento che consente il monitoraggio delle falde acquifere) collocato in questo sito, lo stesso tecnico accertò anche anomalie spropositate di ferro (20 volte superiore al limite) e di manganese (10 volte superiore). Gli altri testimoni – anch’essi infine non sentiti dalla Corte – sono quelli che hanno condotto le analisi e che hanno rinvenuto anche la contaminazione da radionuclidi non naturali: Cesio 137 nelle profondità dei terreni. Voci decisamente importanti per comprendere cosa si sia verificato negli anni in questa vallata a cui si è preferito sostituire la lettura dei documenti. Ora i giudici per farsi un’idea sul livello d’inquinamento della vallata dovranno leggere centinaia di pagine di consulenze e decine di analisi che i tecnici negli anni hanno prodotto.
Una differenza non da poco, rispetto alla viva voce dei protagonisti di quell’indagine.
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