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Confisca definitiva per il "re dei videopoker"

REGGIO CALABRIA Oltre duecentosessanta immobili inclusa la sede del tribunale di Sorveglianza di Reggio Calabria e l’ex cinema Margherita su Corso Garibaldi,quindici fra auto e motocicli, tutti i c…

Pubblicato il: 22/05/2015 – 6:49
Confisca definitiva per il "re dei videopoker"

REGGIO CALABRIA Oltre duecentosessanta immobili inclusa la sede del tribunale di Sorveglianza di Reggio Calabria e l’ex cinema Margherita su Corso Garibaldi,quindici fra auto e motocicli, tutti i conti correnti, portafogli titoli, depositi di risparmio, posizioni assicurative, nonché il patrimonio aziendale e le quote sociali di tre aziende: è l’intero impero del “re dei videopoker”, Gioacchino Campolo a passare definitivamente nelle mani dello Stato. La Corte di Cassazione ha definitivamente respinto i ricorsi dei legali dell’imprenditori e dei suoi familiari, disponendo che il tesoro, stimato in oltre 330 milioni di euro venga definitivamente confiscato, bocciando sonoramente tutte le doglianze degli imputati già da tempo spogliati dei beni illecitamente acquisiti grazie all’operazione Les Diables.

 

L’INDAGINE
Supera dunque anche lo scoglio del terzo grado di giudizio il quadro accusatorio emerso dagli accertamenti della Guardia di Finanza che per mesi hanno incrociato dati, verificato conti, stimato il valore di immobili siti a Reggio Calabria come a Roma, Milano, Parigi, così come di tele firmate da artisti di fama internazionale – De Chirico, Guttuso, Picasso, Ligabue – che fino al giorno del suo arresto hanno fatto bella mostra di sé nelle abitazioni di Campolo. La collezione più ricca da Roma in giù, secondo alcune accurate perizie svolte nel tempo. Un’analisi lunga e complessa, messa a punto dalla Guardia di Finanza, che ha ricostruito a ritroso la costruzione dell’impero Campolo incrociando accertamenti patrimoniali, fiscali, finanziari, bancari, fino ad avere un perimetro preciso di un patrimonio che – per lo meno dall’82 in poi – è stato costruito in maniera illecita.

UN PERSONALE METODO CRIMINALE
La pietra angolare, usata da Campolo per costruire il suo sterminato patrimonio, è stata la ditta Are, specializzata nell’utilizzo e noleggio di apparecchi da gioco che gli inquirenti hanno scoperto totalmente illegali perché trasformate in vere e proprie slot machine, assolutamente sconosciute al regime imposto dal Monopolio di Stato sui giochi d’azzardo . Ma le macchinette truccate e la doppia contabilità con cui Campolo gestiva la ditta e che gli ha permesso negli anni di accumulare le risorse finanziarie necessarie per gli investimenti nel mattone, non sono l’unico profilo di illegalità che gli inquirenti hanno riscontrato indagando sulle attività del re dei video-poker. La posizione dominante nel settore videogiochi è stata conquistata – si leggeva all’epoca nel decreto di sequestro che ha ricevuto il visto buono anche dai giudici del Palazzaccio–” attraverso atti di estorsione e di concorrenza sleale perpetrati con la collaborazione di esponenti di spicco della criminalità organizzata in grado di produrre ingenti quantità di denaro in contante, frodato al fisco ed impiegato nell’acquisto del patrimonio sopra descritto”. Estorsioni come quella commessa in concorso assieme a Gaetano Andrea Zindato – rampollo dell’omonima cosca reggente nei quartieri della periferia sud- est della città – imponendo ai titolari del “Punto Snai” del quartiere Modena l’installazione delle sue macchinette “mangiasoldi”. Medesimo diktat imposto ai titolari dell’ex sala giochi Edonè, questa volta nella zona nord della città e in concorso con Mario Audino, uomo dei Tegano. Circostanze che faranno scrivere ai magistrati ” Campolo è perfettamente inserito nella logica di spartizione territoriale -secondo la quale la cosca egemone sul territorio ha diritto di accaparrarsi e controllare tutte le attività illecite, compreso il gioco d’azzardo, il noleggio degli apparecchi da gioco- elemento al contempo funzionale e fruitore dei vantaggi in quanto individuato quale imprenditore di riferimento dai gruppi mafiosi dominanti nelle rispettive zone in cui è suddivisa la città”.

 

UOMO DEI DE STEFANO
Ma sebbene fosse in ottimi rapporti con tutti, è una la consorteria che del re dei videopoker è stata da sempre la protettrice in città: il clan De Stefano. A confermare gli elementi sulla contiguità di Campolo alla potente cosca di Archi che gli investigatori hanno collezionato nel corso di una lunga indagine, le dichiarazioni di quattro collaboratori di giustizia Paolo Iannò, killer della cosca Condello, Antonino Fiume e Giovanni Battista Fracapane, killer ed esponenti di spicco del clan De Stefano e più recentemente Nino Lo Giudice. “lo sapevo che Campolo gode di una certa “protettura” da molte famiglie e che aveva una “amicizia” diretta o indiretta, con l’avvocato Giorgio De Stefano. Anche se il “responsabile” su di lui era Orazio”, dirà il pentito Nino Fiume ai magistrati della Dda di Reggio Calabria. Sarà quest’ultimo – come riferito dal pentito Fracapane – a bloccare Mario Audino e i suoi propositi omicidi ai danni di Campolo, ma anche ad ordinare che fosse la sua Are e non la ditta dei Lavilla, come voluto invece dai Tegano, a ricoprire una posizione di vertice nel mercato degli apparecchi da gioco in Reggio Calabria. Un rapporto che dunque gli inquirenti leggono non come “soggezione subordinazione di Campolo – imprenditore ai vari reggenti delle cosche dominanti sul territorio per la mera sopravvivenza della ditta ARE, ma di un evidente rapporto paritario finalizzato alla pianificazione e conclusione degli affari e guadagni illeciti”.

 

A DISPOSIZIONE DEL CLAN
Del resto – ed ore e ore di intercettazioni audio e video lo dimostrano – quello di Campolo con i De Stefano, e soprattutto con l’avvocato Giorgio, è un rapporto solido e di lunga data. Agli arcoti Campolo ha fornito latte, uova e conserve provenienti dalle sue tenute in campagna, così come flipper e biliardini per allietare le lunghe giornate di latitanza. Ha cambiato assegni o direttamente consegnato soldi, come i 15 o 20 milioni di lire in contanti dati sull’unghia a Orazio De Stefano per pagare il proprio difensore di fiducia. Del resto, e i particolari intimi della vita degli esponenti di spicco del clan che Campolo conosce lo dimostrano, quello del re videopoker con il clan è un rapporto antico e consolidato, tanto da indurre i magistrati a pensare che Campolo non fosse solo un amico di lungo corso e un protetto dei De Stefano. “Lungi dall’agire come un ordinario imprenditore e fondare quindi la sua attività, la sua presenza sul mercato e i suoi profitti sull’ossequio alla legge e sulla leale concorrenza con gli altri soggetti attivi nel medesimo settore – si leggeva nel provvedimento – ha inteso invece servirsi costantemente e sistematicamente dei vantaggi illeciti derivanti dalla sua condizione di soggetto colluso con la ‘ndrangheta e quindi protetto e spalleggiato da questa”. Una lettura oggi divenuta definitiva.

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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