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Il doppio binario dei bisogni

Matteo Renzi quando ancora non era alla guida del Paese e dirigeva aziende politiche di più modeste dimensioni fece delle cose di “sinistra”: ridusse le tasse in Provincia, tagliò i costi dell’ente…

Pubblicato il: 22/05/2015 – 13:12

Matteo Renzi quando ancora non era alla guida del Paese e dirigeva aziende politiche di più modeste dimensioni fece delle cose di “sinistra”: ridusse le tasse in Provincia, tagliò i costi dell’ente e aumentò gli investimenti per cultura e ambiente.

Anche da sindaco lasciò un buon ricordo lavorando nel solco dello slogan di quella campagna elettorale che fu: «O cambio Firenze o cambio mestiere e torno a lavorare (?)». E, infatti, il capoluogo toscano fu la prima città italiana ad approvare un piano strutturale a volumi zero e a dire stop alla cementificazione. Attuò il piano della pedonalizzazione del centro storico e aumentò gli investimenti in favore della scuola, della cultura e del sociale.
Interventi che gli spianarono la strada per la scalata alla presidenza del consiglio dei ministri.
Il problema è il dopo, quando il “rottamatore” nazionale è riuscito a sedersi a Palazzo Chigi da dove ha dimostrato di aver dimenticato come si possono tradurre in pratica i buoni propositi senza perdersi in giri di valzer perché, finita la musica, rimangono gli aspetti essenziali del vivere comune.
Renzi sembra essersi perduto in un estenuante braccio di ferro, dentro e fuori il suo partito, per una legge elettorale di cui, diciamolo pure, ai cittadini interessa poco; ha emarginato il sindacato polverizzando l’art.18 dello Statuto dei lavoratori; si è avventurato in una legge di riforma della scuola che introduce la figura del preside-manager dai poteri monarchici. E chissà quali altri escamotages bisogna aspettarsi nel nome del cambiamento che dovrà portare il Paese verso la modernizzazione, probabilmente nel segno dei desiderata di coloro che hanno in mano le leve del potere in Europa. Sicuramente gli italiani sono poco interessati a queste mutazioni perché, completamente assorbiti dal salasso economico subito e da una congiuntura che continua a far oscillare verso l’alto l’asticella della povertà, figurarsi se hanno tempo e voglia di valutare le tante alchimie politiche che settimanalmente ci vengono proposte, senza più badare ai riflessi di disperazione determinati dalla mancanza di occupazione e soprattutto di quella giovanile.
Sicuramente gli Italiani avrebbero preferito in primis interventi tangibili a sostegno della precarietà occupazionale e, dopo, una legge elettorale seria che durasse nel tempo. Insomma si sarebbe voluta da Renzi la stessa gradualità nel fare le cose che ha usato da sindaco e da presidente della Provincia di Firenze. Anche se si dirà che probabilmente nel capoluogo toscano non c’erano quei “poteri forti” con cui, invece, si deve misurare da capo del governo. Agli Italiani rimane tuttavia l’amarezza della mancanza di chiarezza che pure sarebbe necessaria in un paese che dice di essere civile. Altrove il fatto che un politico sia sorpreso a dire una bugia può significare anche la sua fine politica: l’aspetterebbe solo la gogna pubblica e l’impossibilità a riproporsi in competizioni elettorali. In Italia, dove ci riempiamo la bocca nel dire di essere culla di civiltà e di diritto, continuiamo invece a tenere sugli scranni di quasi tutti gli organismi elettivi, soggetti rinviati a giudizio e, alcuni, persino condannati.
Il nostro è un Paese nel quale un sottosegretario si permette di definire immorale chi invoca la restituzione della parte di pensione non percepita perché congelata dalla legge “Fornero”; che mantiene stipendi da nababbo ai deputati, ai consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali. Non dimentichiamoci che il nostro è il paese dei “vitalizi” anche dopo una sola legislatura. E vitalizio significa estensione del beneficio al coniuge superstite e dopo anche ai figli. E nel Paese del “volemose bene” può essere considerato immorale ciò che riguarda gli altri, ma in nessun caso gli interessi personali.
Perché, dunque, non la smettiamo con l’ipocrisia del voto? Decidessero i partiti tutti i nomi di coloro che debbono rappresentare la società nei vari organismi; si eviterebbe così l’ipocrisia di recarci alle urne. Si stabilisca per legge una rotazione nella rappresentanza governativa e amen. Recentemente Giovanni Toti, candidato presidente in Liguria e consigliere di Berlusconi, ha dichiarato «la partita vera non si gioca più in Parlamento le cui dinamiche perdono peso». Il che significa che a decidere il futuro possono essere altri ma non certamente gli elettori, almeno quelli che vivono di lavoro. Omologhiamo il sistema del doppio binario: su uno viaggiano i bisogni dei cittadini che debbono essere mantenuti al ribasso nell’ambito delle esigenze determinate dal proliferare del debito pubblico, della corruzione, della delinquenza organizzata e dell’evasione fiscale e sull’altro il treno della politica. Entrambi i convogli viaggeranno nella stessa direzione senza incrociarsi mai per evitare scontri epocali.

 

*giornalista

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