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Processo “Romanzo Criminale”. La versione di Loredana

CATANZARO Loredana Patania, 32 anni, ha la parlata svelta, sicura e racconta la sua versione dei fatti e gli affari della sua famiglia, senza mezzi termini. Ieri a Catanzaro, durante l’udienza per …

Pubblicato il: 22/05/2015 – 5:57
Processo “Romanzo Criminale”. La versione di Loredana

CATANZARO Loredana Patania, 32 anni, ha la parlata svelta, sicura e racconta la sua versione dei fatti e gli affari della sua famiglia, senza mezzi termini. Ieri a Catanzaro, durante l’udienza per il processo Romanzo Criminale – nato dall’omonima operazione dei carabinieri eseguita contro la cosca a marzo 2014 – la collaboratrice di giustizia, collegata in video conferenza, ha parlato a lungo rispondendo alle domande degli avvocati e del pubblico ministero. Oltre a diversi cugini e parenti della donna, nel processo è imputato anche l’ex maresciallo dei carabinieri, Sebastiano Cannizzaro, accusato di avere coperto e favorito la cosca di Stefanaconi in diverse occasioni. Loredana parla anche di lui: «Cannizzaro veniva solo a casa mia a fare le perquisizioni non dai miei cugini». Racconta anche di don Salvatore Santaguida, parroco di Stefanaconi, che dalle indagini dei carabinieri appariva molto vicino alla cosca vibonese, tanto da avvertirla in caso di perquisizioni. La sua posizione è stata poi stralciata per una mancata notifica dell’avviso di conclusione indagini e della fissazione dell’udienza preliminare. Ma Loredana risponde anche alle domande su di lui e su quella volta in cui avvertì uno dei Patania: «Ti faranno la perquisizione al capannone», e quelli si affrettarono a ripulirlo di tutte le armi e munizioni che conteneva. Lei stessa dice di ricordare Alessandro Bartolotta e gli altri che toglievano le armi e i proiettili che stavano in giro. Era un luogo importante, questo capannone, dove i Patania si riunivano con i loro sodali e si parlava di tutto. Fu qui che la collaboratrice racconta di aver sentito parlare del fallito attentato al “Pulcino” da parte di Cosimo Caglioti. Nel capannone dei cugini si facevano battute di vario genere, del fatto che si erano travestiti da carabinieri e avevano organizzato un posto di blocco cercando di intercettare la vittima ma quella era riuscita a fuggire e loro avevano anche commentato “ma guarda che sfortuna”.
Loredana Patania parla anche della sua vita intima, della relazione con extraconiugale con Daniele Bono (anche lui collaboratore di giustizia) e del fatto che suo marito Giuseppe Matina ne fosse a un certo punto a conoscenza ma non potesse fare nulla perché «era consapevole del fatto che io sapevo molte cose sul suo conto e avrei potuto distruggerlo». Lei e Bono avevano una casa a Pizzo Calabro in cui si incontravano, oppure si vedevano nel negozio di generi alimentari di lei. L’ex marito, Matina detto Gringia, morirà in un agguato a febbraio 2012. Gli avvocati della difesa insistono sulla teste a proposito di una polizza sulla vita del marito da 380mila euro. Lei risponde che dopo la morte dell’ex marito le arrivò avviso di questa polizza a casa di una zia ma lei non volle saperne nulla. L’unica cosa che sapeva, dice, erano le battute che il marito le faceva. «Io ho sempre amato essere ben curata, vestita e truccata. Lui mi prendeva in giro dicendo che se fosse morto mi avrebbe lasciato un buon patrimonio per continuare a essere vestita e curata».

 

I RAPPORTI CON LA FAMIGLIA
La collaboratrice parla anche dei rapporti con quei cugini che lei frequentava e dai quali ha appreso molte informazioni e che oggi si trovano sul banco degli imputati. «Io ho sempre avuto un buon rapporto coi miei cugini ma non mi piaceva il modo in cui trattavano gli altri e li sfruttavano», dice. Lei, racconta, era molto legata al boss, Fortunato Patania. Lei è sicura che sia suo padre che suo zio fossero “battezzati”. I figli di Fortunato non lo erano perché lui non volle, non voleva che facessero la sua stessa vita. E per fargli fare un vita normale aveva messo su per loro un distributore di benzina e un albergo. La faida che li ha corrotti, secondo la testimone, è stata l’omicidio del padre a settembre 2011. E’ stato da quel momento che si sono armati e sono poi diventati padrini. Perché «prima di battezzarti devi fare delle cose. Non ti fanno il battesimo se tu non hai ucciso nemmeno una gallina».
A chi le chiede, per confutare la sua attendibilità, perché avessero mantenuto buoni rapporti, lei e i cugini, nonostante questi fossero implicati nell’omicidio dell’ex marito, lei risponde che «I miei cugini si sono dovuti fidare di me perché volevano che Bono li aiutasse. E perché serviva trovare il corpo di Michele Penna. Una volta mi avevano persino messo una mappa davanti per indicare dove si trovasse». Michele Penna, assicuratore e segretario cittadino dell`Udc, venne inghiottito dalla lupara bianca il 19 ottobre 2007. I Patania erano convinti che fare ritrovare il corpo avrebbe portato benefici alla cosca. Le accuse nel processo Romanzo Criminale sono a vario titolo associazione mafiosa, armi, estorsioni, usura aggravati dalle modalità mafiose.

 

Alessia Truzzolillo

redazione@corrierecal.it

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