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La favola solidale del Moas

REGGIO CALABRIA «1441 vite salvate fino ad ora»: recita così il contatore quotidianamente aggiornato sul sito del Moas per indicare il numero di vite salvate dalla Ong maltese dei coniugi Catrambon…

Pubblicato il: 24/05/2015 – 11:34
La favola solidale del Moas

REGGIO CALABRIA «1441 vite salvate fino ad ora»: recita così il contatore quotidianamente aggiornato sul sito del Moas per indicare il numero di vite salvate dalla Ong maltese dei coniugi Catrambone, nata per fornire aiuto e assistenza ai migranti che sfidano il Mediterraneo, in cerca di una vita migliore. Una favola moderna di umana solidarietà in parte anche calabrese, perché la storia del Moas(Migrant Offshore Aid Station, postazione di aiuto in mare ai migranti) di chi l’ha fondata e di chi ci lavora, inizia a Reggio Calabria. E’ qui che lo statunitense Christopher Catrambone e la calabrese Regina Egle Liotta, si conoscono. Nel 2006 fondano insieme la “Tangiers”, un’agenzia specializzata in assicurazioni, servizi informativi e assistenza in casi di emergenza. Due anni dopo, il trasferimento a Malta, dove vivono tutt’oggi. Ma è nel 2013, due anni fa, che qualcosa cambia.
I coniugi Catrambone stanno percorrendo la rotta che da Lampedusa li porterà in Tunisia per affari, quando a pelo d’acqua notano qualcosa: è una giacca beige, che galleggia trasportata dalla corrente, simbolo di qualcuno che forse tra l’Africa e l’Italia ha perso qualcosa di più di un semplice indumento. Da anni, sono migliaia i barconi della speranza che attraversano miglia e miglia in balia delle onde, trasportando chi scappa dalla guerra e dalla fame, verso una vita che sperano migliore. Un desiderio che spesso viene brutalmente interrotto dalle pessime condizioni atmosferiche e dei barconi, che spesso sono costate la vita a migliaia di migranti.  Secondo le stime dell’Unhcr, (l’agenzia dell’Onu per i rifugiati), 1800 le persone morte nel Mediterraneo in soli cinque mesi. L’anno scorso, la tragica conta si è fermata a 3400. Ma si tratta solo di stime approssimative perchè di molti naufragi, nemmeno si ha notizia.
Regina e Christopher Catrambone hanno scelto di smettere di assistere alla tragedia senza fare nulla. Con i soldi messi da parte per comprare una casa, hanno comprato una barca, la Phoenix. Lunga 40 metri, la nave è la colonna portante del progetto che hanno voluto far nascere per soccorrere i migranti in difficoltà, dribblando le maglie strette delle norme sull’immigrazione, ma facendo appello all’ancestrale legge del mare che impone di aiutare i naufraghi. Partito su base volontaristica, il progetto si è via via strutturato e istituzionalizzato. Oggi, coordinandosi con i Rescue Center della Marina Militare italiana e quella maltese, il Moas gestisce le missioni di soccorso. Ricevuta la segnalazione, l’organizzazione maltese fa partire due droni di ultima generazione – di cui uno ad infrarossi per la visione notturna – verso il punto segnalato, per verificare le condizioni dei natanti. Spesso le barche sono in condizioni talmente precarie da rendere dubbio il galleggiamento fino all’arrivo della Marina, ed è qui che interviene la Phoenix. La nave è equipaggiata al meglio per il soccorso in mare: è dotata di due gommoni per l’avvicinamento al natante e il primo trasbordo, salvagenti, medicine e beni di prima necessità come viveri e indumenti, che vengono subito messi a disposizione dei migranti, successivamente smistati sui due ponti della nave: sotto donne e bambini, sopra gli uomini.
In quello che è una sorta di pronto soccorso galleggiante, i migranti vengono visitati da medici qualificati a diagnosticare e curare le patologie che tipicamente affliggono chi affronta viaggi in mare in condizioni disumane: ustioni, disidratazione, problemi cardiovascolari o legati a parto o gestazione. Dopo i controlli sanitari, i migranti vengono vestiti e sfamati, in attesa che intervengano le navi della Marina. Fino all’anno scorso, la Phoenix non era autorizzata agli accompagnamenti in porto, ma con l’aumento delle partenze dalle coste africane anche la nave della ong è diventata pienamente operativa. Il 16 maggio scorso, in 405 sono arrivati a Messina grazie alla nave maltese.
All’aumento delle responsabilità e dei compiti, è corrisposta anche la necessità di trovare finanziamenti per un progetto inizialmente basato solo sulla generosità dei coniugi. Diversi imprenditori – come il tedesco Jürgen Wagentrotz che si occupa della fornitura del carburante – hanno scelto di affiancarli, quanto meno economicamente, e foraggiare la missione che divora circa 500mila euro al mese, ma il progetto di Regina e Christopher Catrambone, che ha nell’ex Capo di Stato Maggiore di Malta il suo direttore operativo, è stato riconosciuto valido anche da una storica ong come Medici senza Frontiere. La storica ong non solo ha contribuito con un milione e 400mila euro al finaziamento delle missioni di soccorso, ma ha di recente stretto una partnership con il Moas. Per i prossimi sei mesi, Msf si occuperà di fornire lo stock di materiale medico e un team a bordo della Phoenix composto da due medici e un’infermiera, che si occuperanno della prima assistenza. È la prima volta che un’organizzazione internazionale come Medici senza frontiere si occupa del soccorso in mare dei migranti, e lo scorso 3 maggio, a meno di 24 ore dall’avvio della missione congiunta, ha portato a termine insieme al MOAS la sua prima operazione di soccorso nel Mediterraneo. Insieme, hanno tratto in salvo 369 persone, tra cui 66 donne, di cui una incinta e 45 tra bambini e neonati. Il primo di una lunga serie di interventi. Dopo solo tre settimane di attività, i numeri del MOAS parlano chiaro: sono 1.441 i migranti salvati dalle acque nel corso di sei differenti missioni di salvataggio in tutto il Mediterraneo. 1.124 uomini, 211 donne e 106 bambini che probabilmente devono la vita alla determinazione di due persone, convinte che fosse possibile fare qualcosa per aiutare il prossimo. E hanno iniziato a farlo.

 

Benedetta Malara

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