La legge Delrio (n. 56/2014), che (fra l’altro) prevede il riordino delle Province (nelle more della soppressione delle province ad opera del ddl di revisione costituzionale Renzi-Boschi) costituisce l’approdo (criticato da alcuni, osannato da altri) di un percorso legislativo (ma anche con basi costituzionali) ondivago e risalente che procede ad un riordino significativo della distribuzione dei poteri fra centro e periferia e all’interno della ‘periferia’. In nove città i previgenti enti provinciali sono stati ora sostituiti da città metropolitane (concepite come enti territoriali di area vasta, con legittimazione democratica di secondo livello, e con una forma di governo significativamente diversa da quella prevista nel Tuel per tutti gli enti locali).
In un essenziale richiamo delle tappe fondamentali che hanno preceduto tale processo, si ricorda come l’origine del processo di riforma dell’ordinamento locale deve farsi risalire alla legge 142 del 1990; segue quindi il processo di trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato agli enti locali, transitando per le regioni (legge 59/1997) e approda infine (con il novellato articolo 118 Cost.) nel nuovo testo costituzionale, che procede a ridistribuire le competenze legislative fra lo Stato e le regioni. A tal fine, assegna ai comuni la competenza generale di provvedere alle funzioni amministrative, da esercitarsi anche mediante il ricorso ad un criterio di sussidiarietà verticale ogni qualvolta una funzione amministrativa non risulti di ambito locale ma sovra-locale, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Un criterio dinamico – quest’ultimo – che, nella lettura concretamente fattane nel periodo di vigenza del novellato titolo V Cost., ha portato il giudice delle leggi ad avocare verso l’alto molte funzioni amministrative e legislative allocate a livello comunale e regionale.
Fra le molteplici ragioni della debolezza del sistema regionale-locale considerato come un sistema complesso ma unitario, fra gli altri motivi, in particolare, è da sottolineare il sostanziale fallimento di un strumento di ricomposizione di tipo rappresentativo costituito dal “Consiglio delle autonomie” (articolo 123, ultimo comma, Cost.), che il legislatore di revisione costituzionale aveva saggiamente rimesso alla potestà statutaria delle regioni, ma che poche regioni hanno istituito e poche di quelle che lo hanno istituito lo hanno messo nelle condizioni effettive di funzionare.
Per riflettere sullo stato di attuazione della legge Delrio ad un anno dal suo varo, si potrebbe dire che ciò che maggiormente rileva di questo nuovo indirizzo legislativo è la sua vera e propria controriforma (sia pure di tipo legislativo) rispetto all’indirizzo costituzionale e legislativo seguito nell’ultimo ventennio. La conclusione di tale stagione di ‘infatuazione federalistica’ da parte di una componente del ceto politico del Paese ha ora portato, nel testo del ddl Boschi (di nuova revisione del titolo V Cost.), alla reintroduzione della “clausola di salvaguardia” (a tutela dell’unità giuridica ed economica), accompagnata dalla ridefinizione verso il basso delle competenze esclusive delle regioni, che ne comportano un sostanziale svuotamento in quanto organo legislativo e una loro prevalente connotazione amministrativistica. Una evoluzione – quest’ultima – che qualora si consolidasse giustificherebbe pienamente (se non l’abrogazione, che sarebbe di certo misura eccessiva ma di certo) un riaccorpamento delle regioni ordinarie e un superamento di quelle speciali e con esse una nuova attenzione ai profili della programmazione e del coordinamento delle attività amministrative di area vasta (sovracomunale), in tal modo concentrandosi su ciò che il cittadino chiede alle istituzioni di prossimità.
Il limite vero delle riforme territoriali, pertanto, risiede nel fallimento dell’autonomia regionale e locale nei termini della capacità di gestione e di controllo della spesa relativa alle funzioni loro assegnate; in tal senso, è da ricordare la scelta inopinata di abrogazione costituzionale dell’art. 125.2 e 130 Cost. Gli effetti devastanti nella opinione pubblica circa l’accountability del ceto politico territoriale (si è parlato con riguardo al ceto politico territoriale di un ‘modello Batman’) sono da individuare alla base del movimento populistico affermatosi nel Paese che le forze politiche hanno cercato di ‘cavalcare’ per non restarne schiacciati. Il riordino-soppressione delle province costituisce una delle vittime di tale effetto populistico. Manca qui la possibilità di riferire qualche dato contabile a sostegno della presente tesi, ma navigando in internet si troveranno tutti i dati necessari ad una informazione approfondita. Naturalmente oggi possiamo ben cogliere tutti i rischi di una simile scelta (di riordino delle province, pienamente legittimata dalla sentenza 50/2015 della Corte costituzionale) nella legge Delrio. La Corte dei conti, peraltro, è intervenuta molto di recente sollevando molto più di un allarme sulla tenuta dei conti e sul deterioramento degli equilibri della finanza pubblica.
Nelle more della revisione costituzionale, e dunque per un tempo ancora ragionevolmente medio-lungo il rischio della confusione (qualche amministratore locale parla anche di caos) nell’esercizio delle competenze provinciali è nell’ordine delle cose. Ciò non perché manchino nella legge Delrio previsioni certe circa le modalità da seguirsi nella distribuzione in alto (regioni) e in basso (comuni) delle competenze amministrative già delle province, quanto piuttosto in ragione della considerazione della naturale impedenza che un simile processo di riforma comporta. Una impedenza che ha la sua vera origine nella politica statale di riduzione delle risorse rese disponibili (in capo agli enti provinciali e alle città metropolitane) e dunque nel condizionamento che, in modo pressoché inevitabile, si rifletterà sui legislatori regionali al momento di procedere all’applicazione della legge n. 56/2014. Si ricordano in proposito le determinazioni legislative di riduzione delle spesa corrente per le province e le città metropolitane (di 6000 milioni di euro entro l’anno 2017). Se non fosse irrituale, si direbbe che dopo una simile cura … il cavallo non potrebbe che essere inevitabilmente passato a miglior vita.
La situazione di attuazione della legge Delrio pertanto deve dirsi diversa in ragione dello stato di avanzamento del processo di riordino delle province nelle diverse regioni del Paese. Con riguardo specifico al processo di trasferimento ad altri enti delle funzioni amministrative (delle province) diverse da quelle fondamentali è intervenuto l’accordo Stato-regioni dell’11 settembre 2014 e il Dpcm 26 settembre 2014, con riguardo specifico ai “criteri per l’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse con l’esercizio delle funzioni provinciali”. Nefasti, come si è detto, sono stati definiti gli effetti della disciplina legislativa (l. 190/2014) sul processo di riordino delle province che ne hanno fatto registrare fin qui un effetto di evidente, problematico, rallentamento/freno. Allo stato solo quattro regioni (ma il dato non è aggiornato) hanno legiferato in materia. Quanto invece alle province destinate a trasformarsi in città metropolitane alto è il rischio che il cambiamento possa risultare solo di tipo nominalistico.
Quanto alle criticità rilevate in un simile processo, si direbbe che vi sono criticità di tipo sistemico e criticità di tipo contingente. Ma non si saprebbe davvero a quale tipologia assegnare la evidente asimmetria, ad esempio, fra le previsioni della legge Delrio e la legge di stabilità 2015. Ciò senza richiamare le altre problematiche di riallineamento fra le legge Delrio e gli effetti della nuova revisione costituzionale del titolo V (qualora realizzata). Apparentemente sembra trattarsi di una c
riticità contingente destinata ad essere riassorbita; tuttavia occorre interrogarsi sulla sostenibilità finanziaria a regime (cioè dopo il 2017) del sistema provinciale e delle città metropolitane, dopo che si sarà adempiuto da parte di questi ultimi enti all’obbligo di versare alle casse dello Stato sei miliardi di euro. L’evidente dubbio di costituzionalità di tale disciplina rispetto alle vigenti previsioni dell’art. 119, IV comma, Cost. risulta quanto mai fondato a fronte del sospetto che le risorse rese ora disponibili al sistema provinciale e delle città metropolitane (per limitarci a questi due soli enti) potranno non risultare idonee ad assicurare la “integrale copertura” delle funzioni pubbliche loro attribuite. Quanto a queste ultime, inoltre, l’ulteriore criticità risiede negli effetti applicativi delle disposizioni contenute nell’art. 1, co. 85 e nell’articolo 1, comma 89 della legge Delrio. Mentre la prima disposizione è destinata all’identificazione delle funzioni fondamentali delle province (pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, tutela dell’ambiente, pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, programmazione provinciale della rete scolastica, controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale), l’articolo 1.89 della medesima legge Delrio disciplina i criteri per il riparto fra lo Stato e le regioni (secondo le rispettive competenze) delle funzioni provinciali diverse da quelle fondamentali (individuazione dell’ambito territoriale ottimale di esercizio per ciascuna funzione; efficacia nello svolgimento delle funzioni fondamentali da parte dei comuni e delle unioni di comuni; sussistenza di riconosciute esigenze unitarie; adozione di forme di avvalimento e deleghe di esercizio tra gli enti territoriali coinvolti nel processo di riordino, mediante intese o convenzioni. Sono altresì valorizzate forme di esercizio associato di funzioni da parte di più enti locali, nonché le autonomie funzionali). Le funzioni che nell’ambito del processo di riordino sono trasferite dalle province ad altri enti territoriali continuano ad essere da esse esercitate fino alla data dell’effettivo avvio di esercizio da parte dell’ente subentrante; tale data è determinata nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 92 per le funzioni di competenza statale ovvero è stabilita dalla regione ai sensi del comma 95 della legge Delrio per le funzioni di competenza regionale. Le criticità rilevate dalla dottrina che si è occupata fin qui della legge Delrio sottolineano un rischio pernicioso di vuoti amministrativi dovuti alla mancata elencazione e attribuzione di funzioni amministrative in materia rilevanti per i servizi di ambito locale e sovra-locale, quando si consideri ad esempio che materie come quella delle risorse idriche, delle risorse energetiche, dei rifiuti, la disciplina e il controllo degli scarichi delle acque, i servizi sanitari e di igiene e profilassi non risultano attribuiti a nessuno dei due elenchi di cui si è prima detto.
Quale sarebbe secondo lei l’optimum di un nuovo assetto territoriale che ci possa rendere competitivi a livello europeo? Se ci si ponesse questo interrogativo, rispondervi in modo adeguato sarebbe comunque difficile. Nelle more di poter comprendere quale nuovo scenario risulterà dalle riforme costituzionali in corso, che prevedono la soppressione-riordino delle province, può osservarsi come le ‘nuove’ province nascono in uno scenario di grandi incertezze; una parte di tale incertezza a ben vedere si riflette sulle stesse città metropolitane. Come sanno bene le amministrazioni locali, per averlo già sperimentato dopo la legge 59/1997, per un periodo di tempo (quanto lungo non è dato sapere), come si dice nel gergo colloquiale “si navigherà a vista”. La legge Delrio e la revisione costituzionale (ma in modo più significativa quest’ultima) avrebbero dovuto prevedere, come non è avvenuto, un maggiore peso decisionale in capo alle regioni ma è ragionevole ipotizzare che i comuni (in passato hanno tenuto e) continuano a temere il “grande fratello” territoriale, la regione, preferendo dover fare i conti (anche in senso tecnico), cioè avere relazioni di collaborazione istituzionale con lo Stato.
Quanto alla legge Delrio, come sappiamo, la strada che ha intrapreso l’ha portata a depotenziare il ruolo politico delle province (ma a ben cogliere anche delle città metropolitane). Il fatto che la Corte costituzionale non abbia rilevato motivi di censura costituzionale nella legge Delrio con riguardo alle forme di legittimazione democratica indiretta in essa accolte non possono non far temere una regressione tecnocratica dell’amministrazione delle funzioni per come ora innovativamente disciplinate.
Cosa servirà a processo di riforma compiutamente realizzato? La risposta è che il successo della riforma territoriale dovrà assolutamente contare, valorizzandolo al massimo, sul dialogo intercomunale, che risulta essere una delle chiavi di volta per la ricerca delle soluzioni di governo dei nuovi enti territoriali e delle relazioni al loro interno, da disciplinarsi in modo innovativo negli statuti (rispetto alla esperienza statutaria previgente) fra livello politico dell’amministrazione e amministrazione in senso tecnico burocratico. Come è stato già e bene osservato, così, la risposta al successo o all’insuccesso delle ipotesi di riforma accolte nella legge Delrio sarà data, più che dai giuristi, dagli scienziati dell’amministrazione e dai politologi. Non so se esserne soddisfatti alla luce di una stagione più che sessantennale in cui quando si è parlato degli enti regionali e locali di norma si è fatto riferimento ad espressioni che evocavano la “democrazia locale”. Per non soffrire molto forse dovremo apprendere presto il nuovo vocabolario … e farcene una ragione!
*Docente Unical
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