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BACINELLA 2 | «Ti scasso come un capretto»

REGGIO CALABRIA «Ti tiro un pugno nella testa e te la apro come un melograno! Te la spacco a due, Mì! Mi devi dare i soldi stasera “Mi”, sennò stasera ti investo con la macchina, parola mia ti romp…

Pubblicato il: 26/05/2015 – 18:18

REGGIO CALABRIA «Ti tiro un pugno nella testa e te la apro come un melograno! Te la spacco a due, Mì! Mi devi dare i soldi stasera “Mi”, sennò stasera ti investo con la macchina, parola mia ti rompo le gambe con la macchina, perché mi hai rotto i coglioni». Formalmente, Domenico Infusini, autore di queste minacce all’indirizzo di un malcapitato debitore, è solo il titolare del più grande distributore di benzina di Siderno, ma in realtà è l’uomo che i clan hanno scelto non solo per reinvestire i proventi illeciti trasformandoli in denaro contante necessario a finanziare i prestiti a strozzo, ma anche per agganciare imprenditori e commercianti disperati, consegnare loro il denaro richiesto e seguirne la restituzione, con il compito precipuo di fare la “faccia cattiva” con chi non versa il denaro a tempo debito. E – stando alle conversazioni intercettate – lo fa con estremo gusto.

 

«TI SCASSO COME UN CAPRETTO»
A Domenico Ieraci infatti non esita a dire «se non mi dai i soldi, i 2.850 euro, entro mercoledì, sui miei figli elle ti scasso.. Si, entro questo mercoledì, sull’onore dei miei figli che ti scasso “Mi”, ti scasso come un capretto, te lo dico io entro la fine del mese … Bastardo di merda Ilo soldi di mio cognato nelle mani io, stò facendo brutte figure con i “Cristiani” per colpa tua … Vieni a trovarmi stasera “Mico”, che ti ammazzo». Parole che lasciano poco spazio all’interpretazione, non solo per i pm che hanno chiesto l’incriminazione di Infusini per una lunga serie di estorsioni, ma anche per il gip che sottolinea che l’attività di recupero crediti che gestisce all’ombra del clan «viene svolta dall’Infusini con le modalità intimidatorie tipiche delle consorterie mafiose ed è proprio la caratura criminale dell’usuraio e la sua nota vicinanza alle organizzazioni criminali, infatti, che costituiscono un primo elemento di intimidazione che fa sì che l’usurato, consapevole degli enormi rischi cui si espone, sia sollecito nella ricerca delle somme necessarie da versare». Ieraci non è il solo a subire le minacce di Infusini. Anche Giuseppe Zoccoli, oggi ai domiciliari con l’accusa di aver agevolato il clan perché anche di fronte ad insindacabili conversazioni intercettate si è ostinato a negare l’esistenza del giro di usura, subisce il “pressing” di Infusini. «Eh, abbiate la bontà di passare a trovarmi entro stasera che … mi… mi state rompendo per davvero i coglioni amico Zoccoli, avete capito? … Non cominciate … dite … ditemi dove siete che vengo a trovarvi io … e poi vediamo se comincio! … Voi siete un porco di merda, Zoccoli! … vi faccio il culo che ve lo dovete tenere con due mani … Ma io vi dimostro che non sono quello che pensate voi».

 

MINACCE ANCHE PER 50 EURO
A Infusini non importa che la somma da restituire sia piccola o grande, non gli interessano le condizioni in cui versa il debitore. Per recuperare 50 euro prestate a un non meglio identificato Rocco che vede per strada mentre è in macchina, non esita ad inchiodare, iniziando a minacciarlo pubblicamente. «Dammi 50 euro che scendo e ti picchio “Ro”! dammi 50 euro … Dammi 50 euro, … Hai capito? se non passi domani, sull’onore della famiglia mia che dove ti vedo ti “Pesto”! mi hai capito? merda che non sei altro!». Senza neanche scendere dalla macchina, Infusini riversa sull’uomo, che – costernato – dice di non avere nulla per poter restituire il prestito, una scarica di insulti e minacce. «Bastardo e indegno che non sei altro, bastardo e indegno che non sei altro, se non vieni domani, sull’onore della famiglia mia ti appendo come un “porco”, hai capito?». Una minaccia esplicita, che per il gip Infusini sarebbe capacissimo di mettere in pratica. Per terrorizzare ancor di più le sue vittime non esita infatti a lasciar intendere all’imprenditore strozzato di turno, che tutto o parte del denaro prestato provenga da soggetti ben più importanti di lui nella gerarchia criminale dunque ancora più pericolosi, come non si tira indietro al momento di “convincere” il malcapitato con minacce o pestaggi.

 

IL GALATEO DELL’USURA
Lo sa bene Domenico Ieraci, che ha dovuto incassare in silenzio i pugni di Infusini. Un comportamento eccessivo anche per il boss Cosimo Figliomeni, che lo rimprovera perché – dice – «si mortifica quando vanno da lui e gli dicono che si comporta In questo modo per soldi, che uno come lui non può avere problemi per 3.000 euro, di farseli restituire In due – tre volte» e queste – tuona – sono cose che «sdicono» (stonano). Per quanto l’attività di usura sia ormai sdoganata anche per ‘ndrine d’élite come i Commisso e le loro articolazioni – fa capire Figliomeni – comunque bisogna mantenere sempre un certo stile. Non si può massacrare un uomo per tremila euro. E non perché sia una barbarie, ma perché la gente potrebbe pensare che il clan è obbligato a elemosinare quelli che per loro sono spiccioli. Per questo Infusini deve imparare a usare altri modi e altri metodi.

 

«INVECE DI DIFENDERMI MI HANNO FATTO LA MORALE»
Dovrà sottostare – suo malgrado – ai desiderata e al “galateo” del clan anche in un altro caso. Isidoro Marando è un debitore non puntuale nei pagamenti. Per lungo tempo, il titolare del distributore dei clan lo ha minacciato, gli ha vietato addirittura l’ingresso a Siderno, ma lo ha portato oltre il confine dell’umana sopportazione e a un certo punto Marando non lo si può più toccare. Ha chiesto aiuto e intercessione al clan del potente boss Rocco Aquino, capo della locale di Gioiosa Jonica, che su di lui ha steso la propria ala protettiva. In cambio, la vittima si trasformerà in carnefice, e l’usurato Marando porterà in pasto agli usurai il parente Nicola Furci. Infusini, conscio della propria posizione subordinata, accetta in silenzio. Ma chiacchierando con Vincenzo Figliomeni si lamenta. Nella sintesi di quella chiacchierata intercettata e registrata dagli investigatori si legge infatti che l’uomo «afferma: “per carità in un secondo momento tutti i cristiani (persone di rilievo all’interno della cosca) furono con me ma avrebbero dovuto dirgli (ad Aquino) che c’entravano loro e doveva farsi i cazzi suoi! Ed invece non lo hanno fatto, fregandosene di lui (Infusini) e allora lui se ne fotte degli altri. Infusini continua dicendo che invece di difenderlo sono andati anche a fargli la morale».

 

a. c.

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