SANTA MARIA DEL CEDRO Oltre 1.300 tonnellate di fanghi della depurazione svaniti nel nulla. Una massa enorme di rifiuti pericolosi prodotta nel depuratore di Santa Maria del Cedro che, secondo gli inquirenti, sarebbe dovuta essere smaltita seguendo il percorso legale e di cui, in realtà, se n’è persa traccia. Un sistema che avrebbe così permesso alle società Impec spa e Impec Costruzioni – che negli anni si sono succeduti nella gestione dell’impianto della cittadina del Tirreno cosentino – di accaparrarsi ingenti proventi senza però svolgere il servizio di depurazione previsti dal contratto. Così con l’accusa di frode nell’esecuzione del contratto per la gestione dell’impianto di depurazione della acque reflue urbane di Santa Maria del Cedro, il procuratore capo di Paola Bruno Giordano ha chiesto il rinvio a giudizio di Luigi Cimino, legale rappresentante delle due società che nel tempo avevano l’incarico di far funzionare correttamente la struttura. Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, tra marzo del 2003 e maggio del 2010 le imprese non avrebbero gestito correttamente il depuratore evitando di smaltire lecitamente ben 1,347mila tonnellate di fanghi di depurazione e consentendo di far guadagnare alle società circa 149mila euro. Somma a cui si sarebbe aggiunta la massa di vaglio – sempre derivante dal processo di depurazione – anch’esso, per gli inquirenti, non lecitamente smaltito e che avrebbe fruttato ulteriori circa 9400 euro. Un meccanismo che – per la Procura di Paola – avrebbe prodotto «un disastro contro l’incolumità pubblica, in quanto il funzionamento del citato depuratore rappresentava un presidio indispensabile ad ovviare un comune pericolo».
Roberto De Santo
r.desanto@corrierecal.it
x
x