REGGIO CALABRIA Rimane in carcere l’ex consigliere regionale Santi Zappalà, riarrestato lo scorso 29 aprile perché accusato di aver comprato un pacchetto di voti dalla cosca Pelle in occasione delle regionali del 2010. Il Tribunale del riesame ha detto no alle istanze di annullamento dell’ordinanza e scarcerazione presentate dal folto collegio difensivo del politico, composto dagli avvocati Alvaro e Saffioti, coadiuvati dai legali Alvaro e Albanese. Anche per i giudici del Riesame, ci sono tutti gli elementi perché Santi Zappalà rimanga dietro le sbarre. Stando a quanto emerso dall’indagine coordinata dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri, insieme ai pm Antonio De Bernardo e Giovanni Musarò, ci sarebbe stato un vero patto fra il politico e i Pelle, che Zappalà non ha mai avuto dubbi nell’identificare come uomini delle ‘ndrine, così come per l’accusa sapeva che i dieci assegni di diecimila euro che a breve avrebbe fatto arrivare nelle loro tasche in cambio di voti sicuri sarebbero serviti ai progetti del clan. Una compravendita ricostruita anche grazie alle “indicazioni” involontariamente fornite da Giuseppe Mesiani Mazzacuva nel corso dell’interrogatorio di garanzia seguito al suo primo arresto. Senza che alcuna contestazione gli venisse mossa al riguardo, l’imprenditore si è affrettato a specificare che la somma di centomila euro cui si faceva cenno nelle conversazioni intercettate, in seguito riscontrata grazie a una scrittura privata trovata nel corso delle perquisizioni, sarebbe stata da ricondurre non ad un prestito – come immaginato dai pm e in quel documento falsamente affermato – ma alle attività politiche nella Locride dell’allora aspirante consigliere regionale. Una traccia importante per gli investigatori, che non ci hanno messo molto a incrociarla con i contatti con la cosca Pelle, così come non è stato difficile per gli inquirenti incrociare i contatti di Zappalà con le cosche Commisso di Siderno, Barbaro Mano armata e Barbaro Castanu di Platì, Pelle Gambazza di San Luca, Cacciola e Bellocco di Rosarno, Greco di Calanna e con esponenti apicali della Locale di ‘ndrangheta di Natile di Careri, con quanto emerso nell’inchiesta Inganno, l’indagine sulle ‘ndrine di Platì che ha fatto finire in carcere – ma non per reati di ‘ndrangheta – anche l’ex “icona” dell’antimafia Rosy Canale. A mettere nei guai Zappalà saranno infatti le intercettazioni dell’ex sindaco di San Luca, Sebastiano Giorgi, considerato il referente politico-amministrativo dei clan del paese e per questo di recente condannato in primo grado a sei anni. Ascoltando le sue conversazioni, i Ros registrano quello che per gli uomini delle ‘ndrine del mandamento jonico era un dato acquisito: il “sorprendente” risultato di Zappalà nei centri della jonica era stato possibile solo dietro pagamento di cospicue somme. Alle ‘ndrine di San Luca, dice Giorgi intercettato, il 26 marzo 2010 Zappalà avrebbe versato la bellezza di 400mila euro per un pacchetto di voti, di cui 100mila euro sarebbero andati ai Pelle. Un dato confermato documentalmente grazie al lavoro delle Fiamme gialle, che hanno scoperto che, proprio il 26 marzo 2010, dieci assegni, del valore di 10mila euro ciascuno, sono finiti nella disponibilità di Mesiani Mazzacuva. Un giro vorticoso di denaro che il politico per anni è riuscito a nascondere grazie al sistema di società cartiere che ruotava attorno alla Fisiokinesiterapia Bagnarese srl. La ditta, formalmente amministrata dalla moglie di Zappalà, grazie al sistema delle fatture inesistenti emesse da società di comodo, per anni avrebbe drenato denaro che avrebbe permesso di creare un fondo nero, inesistente per il fisco e destinato a finanziare le aspirazioni elettorali di Zappalà. Da qui, secondo i magistrati, sarebbero venuti fuori i soldi. Soldi – conferma il gip, superando le perplessità della Cassazione – destinati alla ‘ndrangheta.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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