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Bindi: impresentabili anche in Calabria

ROMA Moltissimi guai in Campania, un po’ di trambusto in Puglia e una spaccatura verticale nelle file del Partito democratico. I primi risultati dell’annuncio dei nominativi dei candidati impresent…

Pubblicato il: 29/05/2015 – 13:07
Bindi: impresentabili anche in Calabria

ROMA Moltissimi guai in Campania, un po’ di trambusto in Puglia e una spaccatura verticale nelle file del Partito democratico. I primi risultati dell’annuncio dei nominativi dei candidati impresentabili sono questi. Con un pizzico di Calabria in coda. In merito, la presidente della commissione Antimafia Rosy Bindi è sibillina. Di più non può dire, perché la sua comunicazione odierna riguarda soltanto le elezioni regionali. Ma quello che dice basta e avanza a sollevare dubbi: «Vedremo come finirà in Calabria, dove ci sono personaggi di amministrazioni già sciolte per mafia che sono pronti a ricandidarsi e sono a posto dal punto di vista giudiziario. Ma sappiamo che sono parenti o vicini a certi ambienti. Se avessimo trovato la ricetta per intervenire in maniera efficace anche su questi casi avremmo trovato la soluzione a tutti i nostri problemi». Non si può parlare esplicitamente di altri impresentabili, ma di “inquinamento” nelle liste presentate per le elezioni comunali, almeno secondo l’ex presidente dei Democrat. Che oggi, per non farsi mancare nulla, si è scontrata frontalmente con Ernesto Carbone, membro della commissione Antimafia che non ha preso bene l’iniziativa della collega di partito. E lo ha fatto sapere con un tweet: «Bindi sta violando la Costituzione, allucinante che si pieghi la commissione Antimafia a vendette interne di corrente partitica». Un commento al quale Bindi, a una richiesta dei giornalisti in conferenza stampa, non ha voluto replicare: «Non mi abbasso a rispondere a Carbone».
Anche il segretario regionale del Pd, Ernesto Magorno, si è espresso con un tweet non proprio benevolo nei confronti della presidente dell’Antimafia: «Grave quanto successo oggi, la commissione Antimafia non può essere uno strumento di vendetta partitica».

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