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Giuristi cercasi

Nel governo e nel parlamento c’è un problema. Nonostante la presenza di un gran numero di avvocati, ex magistrati e altri in servizio effettivo ma prestati alla politica, c’è da chiedersi come mai …

Pubblicato il: 03/06/2015 – 14:33

Nel governo e nel parlamento c’è un problema. Nonostante la presenza di un gran numero di avvocati, ex magistrati e altri in servizio effettivo ma prestati alla politica, c’è da chiedersi come mai ogni legge, ogni provvedimento, ogni decisione siano caratterizzati da errori giuridici a volte macroscopici e imbarazzanti, a volte più insidiosi perché nascosti nelle pieghe dei testi, vere e proprie mine di profondità che rivelano la loro presenza appena si debba passare sopra. Qualche giorno fa il direttore ha messo in evidenza il caso della nuova legge sul voto di scambio, la cui stesura ne ha reso se non impossibile, quanto meno assai problematica, l’applicazione, come la Cassazione ha subito messo in evidenza.

Analoghe considerazioni si sono fatte sulla legge Severino sulla corruzione e concussione, nella quale lo sdoppiamento tra concussione per costrizione e induzione alla corruzione ha limitato di molto la possibilità di punire l’induttore solo perché non è dimostrato, o dimostrabile, che il pubblico ufficiale indotto abbia tratto concreto vantaggio dalla pressione ricevuta. Insomma, ogni legge, finalizzata ad assicurare più alti livelli di repressione in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione finisce con l’ottenere l’effetto contrario. Altro caso è quello della legge sull’autoriciclaggio. Con la legge 15 dicembre 2014 numero 186 è stato infatti introdotto, all’articolo 3 il reato di autoriciclaggio, che si applica a chi «avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa».

Qui l’inghippo nasce dall’introduzione della frasetta finale (in cauda venenum), «in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa». Prevedere una modalità di azione significa che quella modalità debba essere provata dall’accusa, ma se il reato è stato accertato l’ostacolo è stato solo tentato ma non è stato concreto, visto che la provenienza delittuosa è stata individuata. Anche in questo caso sorgeranno difficoltà e… assoluzioni. Da ultimo parliamo del pasticcio in salsa campana. Si sono sentite dire tante cose, tutte prive di alcun riferimento con la legge, ma si sa nel caos attuale impera la regola della legge fai da te. Ciascuno se ne crea una a sua misura e quella deve essere l’unica vigente. Ad esempio si è detto che la sospensione del sindaco o presidente di regione non si applica quando si tratta di primo incarico, oppure che la legge sarebbe incostituzionale perché tratta i deputati e senatori in maniera meno pesante, perché per i primi la decadenza solo a sentenza definitiva, mentre peri secondi è sufficiente la sentenza di condanna di primo grado e addirittura il rinvio a giudizio. Niente di tutto questo. Non esiste franchigia per il primo incarico, né vi sono disparità tra parlamentari e amministratori. Peer i primi non è prevista sospensione, ma solo decadenza a seguito di sentenza definitiva per gravi reati, mentre per i secondi è prevista la sospensione da funzioni di governo amministrativo con la sola condanna in primo grado per reati contro la pubblica amministrazione e per altri ancora più gravi. Sarà bene però che il governo tenga conto del dettato legislativo del decreto legislativo 235 del 2012, che all’articolo 8, comma 4, stabilisce che il presidente del Consiglio «adotta il provvedimento che accerta la sospensione».

Attenzione, il presidente non dichiara la sospensione ma la accerta. Ciò vuol dire che la sospensione è automatica e decorre da quando il soggetto acquisisce la carica elettiva (in questo caso di presidente della Regione) e non dalla data del decreto del presidente del consiglio, che si ripete, accerta l’operatività della sospensione senza alcuna possibilità di differirne i tempi o i modi. Qualunque atto il nominato compia deve ritenersi nullo ab origine. Si parla di interventi normativi, di tipo interpretativo, sgradevole e inattesa riedizione delle leggi ad personam. È questo quello che si vuole? E la Corte potrebbe ratificare una tale rottura? Ho sentito nella trasmissione televisiva di lunedì 31 maggio, affermare candidamente da un giornalista che il neo eletto presidente campano avendo buoni rapporti con alcuni giudici costituzionali non dovrebbe temere sorprese. Meglio non commentare.

 

*Magistrato

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