LAMEZIA TERME Un po’ di dati, tanto per ancorare le valutazioni sulla sanità calabrese ai risultati sul campo e non a osservazioni politiche. E’ possibile grazie a un’applicazione web sviluppata da “Wired” (qui il link), il mensile che si occupa di tecnologia. I dati alla base dell’app sono ufficiali: raccolti dall’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) ed elaborati dal ministero della Sanità. Nelle stanze romane non hanno gradito troppo la pubblicazione, ma tant’è. Il servizio è on line e può essere utile a orientarsi in un universo in cui la trasparenza non è sempre al primo posto.
Emerge il ritratto di un sistema sanitario frammentato: da una parte le eccellenze, dall’altra arretratezze che, nel campo della sanità si traducono in disagi e rischi per i pazienti. La Calabria sta spesso nella seconda parte dello spettro, ma non mancano casi positivi. I cittadini, insomma, devono conoscere le condizioni delle strutture e sapersi muovere per evitare spiacevoli sorprese.
Ma partiamo dai dati, che non sono disponibili per tutte le strutture ospedaliere. Abbiamo analizzato le più grandi (i tre ospedali di riferimento: quelli di Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria), incrociando i numeri, laddove erano disponibili, con quelli di altri ospedali più piccoli.
Con qualche avvertenza statistica: se una struttura fa un solo intervento di un certo tipo e quell’unico paziente sopravvive, si ha un tasso di mortalità pari a zero. Ma il dato, ovviamente, è poco significativo. Come sarebbe poco significativo, sempre nel caso di un singolo intervento, che l’unico paziente fosse morto (mortalità pari al 100%). Il dato della mortalità, di conseguenza, è rilevante nella misura in cui si facciano un numero rilevante di operazioni e ci sia un numero rilevante di pazienti.
Cominciamo a vedere le cifre delle strutture sanitarie. Partiamo dal trattamento dell’ictus ischemico e dalla mortalità a 30 giorni. La media italiana (di mortalità) per questa delicata patologia è dell’11,6%. Reggio Calabria, Cosenza e Catanzaro si situano al di sopra (ma non di molto) rispetto a questa linea di demarcazione: rispettivamente al 12,4 al 16,7 e al 13,8%. I numeri migliori appartengono all’Inrca (0%, con 18 casi censiti dal ministero) e all’ospedale di Paola (3,5% di mortalità). Seguono Corigliano (5,6%), Acri (10,5). Peggio fanno gli ospedali di Crotone (16,7%), Soveria Mannelli (18,2%) e Rossano (34,8%).
Una delle occorrenze analizzate dall’app è la mortalità in seguito (sempre a trenta giorni) all’operazione per la frattura del collo del femore, un intervento molto delicato, specie per gli anziani. In questo caso, la media italiana è del 5,7%. E i più importanti ospedali calabresi fanno peggio. Cosenza fa registrare il 7% (sui 128 casi del 2013), Reggio Calabria il 7,3% (110 casi), Crotone il 9,9 (162 interventi) e Catanzaro il 10,1% (su 129 casi censiti). Fanno meglio Rossano, con il 6,8% sui 117 interventi analizzati, e Paola (6,1% per 82 casi). La mortalità zero riportata a San Giovanni in Fiore e all’Inrca di Cosenza non hanno un grosso rilievo statistico (nel primo caso si segnala un solo intervento, nel secondo otto).
Per l’infarto miocardico acuto, la mortalità a un anno dall’intervento mostra dati molto buoni a Reggio Calabria (4,5%) e Catanzaro (6%), entrambe al di sotto della media nazionale (che è del 10,3%). In linea con il resto del Paese Acri (10%) e Paola (10,1), mentre va peggio a Rossano, con il 17% di mortalità. Poco significativi (si riferiscono a casi sporadici) gli altri risultati calabresi.
La mortalità a 30 giorni dallo scompenso cardiaco congestizio. in Italia, è pari al 10,4%. La Calabria mostra, in questo ambito, casi di eccellenza – come lo 0,8% dell’Azienda ospedaliera Mater Domini di Catanzaro e l’1,8% dell’Inrca – e casi che fanno meglio della media nazionale (Soveria Mannelli al 2,9%, San Giovanni in Fiore al 7,8). Va peggio che nel resto d’Italia a Cosenza (12,9% di mortalità), Catanzaro (12,3), Rossano (13), Crotone (12,3), Reggio Calabria (10,8), Paola (11,2) e Corigliano (11,8). Quasi in linea con il dato nazionale, invece, l’ospedale di Acri (10,6%).
Pochi casi censiti, ma percentuali ben di sopra della media, per la mortalità a trenta giorni da un intervento per tumore al pancreas. In Italia il dato vale il 5,6%. In Calabria gli interventi sono pochi ma hanno risultati peggiori. L’11,1% a Cosenza (9 casi), il 25% a Catanzaro (4 casi), il 20% a Reggio Calabria (10 interventi censiti). Ma su queste cifre pesa molto il dato dell’emigrazione sanitaria. Una questione della quale l’app sviluppata da Wired non tiene conto. Ne portano i segni evidenti, invece, le casse della sanità regionale.
Pablo Petrasso
redazione@corrierecal.it
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