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CLAN A MARANO | Lo strano caso del giubbotto antiproiettile

MARANO MARCHESATO C’è fibrillazione all’interno dei clan cosentini. Le ultime operazioni condotte dalla Dda contro la cosca Rango-Zingari ne hanno minato gli equilibri. I clan possiedono assetti di…

Pubblicato il: 04/06/2015 – 5:20
CLAN A MARANO | Lo strano caso del giubbotto antiproiettile

MARANO MARCHESATO C’è fibrillazione all’interno dei clan cosentini. Le ultime operazioni condotte dalla Dda contro la cosca Rango-Zingari ne hanno minato gli equilibri. I clan possiedono assetti diplomatici e di potere molto labili e conti in sospeso sempre aperti, pronti ad essere regolati. Un dato salta agli occhi e costituisce un esempio significativo della tensione che attraversa certe famiglie nei momenti più critici. Il 12 maggio scorso è stata eseguita l’operazione “Doomsday” che ha portato al fermo di 13 persone considerate legate al clan Rango-Zingari. Tra questi un buon numero di componenti della famiglia Intrieri: il capofamiglia Antonio, 52 anni e tre generi tra i quali Domenico Mignolo, 28 anni, sposato con la giovane Sharon, 22 anni appena. Durante l’operazione di maggio vennero eseguite delle perquisizioni nelle abitazioni dei fermati. Procedura che i carabinieri del Reparto operativo del Nucleo investigativo di Cosenza hanno ripetuto, in casa Mignolo-Intrieri, anche ieri nel corso delle indagini sul voto di scambio nelle amministrative 2013 a Marano Marchesato che vede indagati, tra gli altri, il sindaco Eduardo Vivacqua, il vicesindaco Giuseppe Belmonte e l’assessore ai Servizi sociali, Domenico Carbone, accusati di avere chiesto il procacciamento di voti alla cosca dominante del cosentino. Quello che è emerso di particolare, durante quest’ultima perquisizione, è il rinvenimento di un giubbotto antiproiettile di cui a maggio non vi era nessuna traccia. Chi doveva proteggere, e da chi, quel giubbotto? Forse la giovane Sharon, rimasta sola dopo l’arresto del padre, del marito e di due cognati? Su questi interrogativi non trapelano conferme o smentite da parte degli investigatori.

 

L’OMICIDIO TARANTO E I TANTI DUBBI IRRISOLTI
Ma sulla vicenda aleggia un recente fatto di sangue, quello che ha visto l’uccisione di Antonio Taranto, 26 anni, ferito a morte, all’alba del 29 marzo scorso, nell’androne di una palazzina di via Popilia, dopo un sabato sera in un locale. L’ipotesi della lite in discoteca ha cominciato ben presto a sfumare per lasciare spazio ad altre ipotesi ben più gravi come un regolamento di conti per questioni legate allo spaccio di droga. Gli investigatori non escludono nessuna pista ma pochi giorni dopo il delitto iscrivono nel registro degli indagati Domenico Mignolo e Leonardo Bevilacqua. Nell’abitazione del primo sarebbe stato trovato un proiettile dello stesso calibro, 38, di quello che avrebbe ucciso Taranto. L’appartemento del secondo si trova nello stabile in cui è stata trovata la vittima, riversa nei pressi del primo piano in cui abitano Bevilacqua e la moglie, davanti all’appartamento dei quali sarebbero state trovate delle macchie di sangue. Tra i tre sarebbe scoppiata la lite in discoteca. Taranto perderà la vita per cause ancora da accertare. Mignolo e Bevilacqua verranno arrestati a maggio con l’operazione Doomsday. Tra le accuse c’è l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga. Gli inquirenti, in conferenza stampa, spiegheranno che la cosca Rango-Zingari ha il monopolio del traffico di droga nel cosentino e che il piccolo spacciatore non poteva muoversi senza le loro direttive. In particolare, Antonio Intrieri e Domenico Mignolo erano i referenti del clan per lo spaccio nella zona di Marano Marchesato. Affari delicati in un mercato succulento e parecchio conteso. E con i maggiori referenti dietro le sbarre la tensione può salire. Forse al livello da desiderare un giubbotto antiproiettile.

 

Alessia Truzzolillo

redazione@corrierecal.it

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