REGGIO CALABRIA Il suo nome non figura – almeno per adesso – nella lista degli indagati, ma di certo non ci fa una gran figura l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, nel quadro tracciato dalla Dda di Roma con la seconda tranche dell’inchiesta Mondo di mezzo. Propostosi all’epoca come moralizzatore e uomo d’ordine – un identikit congeniale alla storia politica da militante dell’estrema destra – ad Alemanno oggi ci si riferisce, nelle conversazioni degli uomini di Mafia capitale – l’organizzazione cresciuta attorno all’ex Nar Massimo Carminati –, con parole che fanno sobbalzare: «Co Alemanno, sotto certi aspetti se pija molti di più… specialmente sul sociale – dice sghignazzando Emilio Gammuto- ma si è triplicata la cosa».
LE OMBRE DEL CLAN
Ma probabilmente a preoccupare e l’ex sindaco di Roma non è una gigantesca ma in fondo semplice storia di corruzione, ma l’ombra dei clan che da essa emerge. Stando alle conversazioni intercettate, Alemanno avrebbe infatti chiesto a Salvatore Buzzi, il ras delle cooperative divenute grandi mattatrici di appalti a Roma, un aiuto per raccogliere voti al sud in occasione delle europee che lo vedevano candidato per Fratelli d’Italia. Una richiesta che Buzzi accetta di buon grado, mettendo a disposizione i voti dei “mafiosi” – così lui stesso li definisce – della cooperativa. «Tutte balle» dice oggi Alemanno, il cui nome però è già più volte venuto fuori nelle carte che riguardano indagini di ‘ndrangheta. E’ successo – e per questo è stato anche sentito a verbale – con l’indagine della Dda di Milano che ha portato in manette il boss Giulio Lampada, buona parte degli affiliati del suo clan, ma anche magistrati come Giancarlo Giusti e Enzo Giglio, e l’ex consigliere regionale calabrese Franco Morelli, di cui l’ex sindaco di Roma era uno dei principali sponsor politici. Ma di fronte al procuratore capo della Dda di Milano Ilda Boccassini e al sostituto Paolo Storari l’allora mentore del politico calabrese si affretta a scaricare il suo pupillo dell’epoca, oggi condannato in via definitiva a oltre 8 anni di carcere per concorso esterno.
L’EX PUPILLO CONDANNATO PER CONCORSO ESTERNO
Con lui – tenta di spiegare ai magistrati – c’erano meri rapporti di partito dunque, dovuti essenzialmente all’essere parte della medesima corrente, di cui Alemanno era capo e Morelli un campioncino di preferenze. Eppure sarà proprio Gianni Alemanno – scelto dall’ex consigliere addirittura come padrino di cresima della figlia – a chiudere in Calabria la campagna elettorale di Morelli per la rielezione al Consiglio Regionale. E, nelle stanze romane, sarà sempre Alemanno a spendersi per vincere le reticenze dell’ex governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, e regalare a Morelli un assessorato nella giunta calabrese (assessorato che, poi, non arriverà, ndr). Mera tattica a tutela del peso specifico della propria area all’interno del grande calderone degli ex An confluiti nel Pdl – spiegherà Alemanno – ma fallimentare a causa delle «voci preoccupanti» – così le definirà – che avrebbero spinto l’ex governatore a lasciare Morelli fuori dalla giunta. «Quasi per compensarlo del torto politico subito – dice ai magistrati – gli feci ottenere un incarico di non alto livello amministrativo chiamandolo a far parte del consiglio di amministrazione della Tecnopolo, che si occupa della gestione di un’area industriale di Roma». Un incarico che Alemanno – ascoltato dagli investigatori in un’intercettazione dell’epoca, esorta Morelli ad accettare: «Potresti subentrare da assessore se nel frattempo tutte quelle vicende sono state chiarite e nel frattempo faresti il presidente della commissione bilancio. Dai pigliati sta presidenza». Il primo cittadino di Roma, che in seguito lo scaricherà, all’epoca non aveva alcun interesse a inibirne le ambizioni.
QUELLA SERA AL CAFÈ DE PARIS…
Della numerosissima comunità calabrese di stanza a Roma, Morelli era persona molto in vista. E Alemanno voleva quei voti. Proprio allo scopo – ha raccontato ai magistrati milanesi – all’epoca aveva partecipato a un dopocena organizzato dall’ex consigliere: «Era uno dei venti o trenta incontri giornalieri di cui parlavo prima, una sorta di festa organizzata, almeno a dire di Morelli, da due imprenditori di rilievo, in particolare ricordo una persona giovane, ma non riesco a focalizzare con precisione il nome Lampada». Peccato che l’incontro fosse stato organizzato da Morelli al Cafè de Paris, poi sequestrato perché di proprietà Cosimo Alvaro. «Era una serata di campagna elettorale in cui Morelli mi portò a una festa dove mi disse che c’erano i suoi amici calabresi e mi parlò di giovani imprenditori emergenti. Se Lampada è il giovane che ricordo, Morelli me lo presentò sottolineando che era una persona brillante ed emergente. C’erano grosso modo 300 persone. La comunità regionale dei calabresi è la più grande a Roma. I Lampada non li conosco personalmente, sembrerebbe me li abbiano presentati lì».
LAMPADA «ESEMPIO DI CALABRIA DI SUCCESSO»
In realtà così è stato, stando a quanto un festante Giulio Lampada racconta al telefono all’avvocato Mario Giglio: «L’altra, l’altra sera, l’altra sera mi hanno presentato Gianni Alemanno eh! Bellezza! Tu immagina il ministro con il microfono in mano “ringrazio il gruppo Lampada, noto industriale calabrese a Milano e il dottore Vincenzo Giglio”, noi in un angolino che gli alzavamo la mano tipo “cià, ci, cià”». Lampada sarà così felice da pagare – si leggeva in quell’ordinanza di custodia cautelare – il conto di quell’incontro. Il medesimo Giulio Lampada che oggi Alemanno non ricorda, ma all’epoca aveva definito – stando alle carte – «esempio di Calabria di successo».
a. c.
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