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Quegli invisibili sfruttati nelle campagne della Piana

ROSARNO «È un’operazione che ha il merito di ricordarci i valori della solidarietà e dell’accoglienza, perché in un momento storico in cui questo esodo quasi biblico per molti profili divide il Pae…

Pubblicato il: 05/06/2015 – 13:55
Quegli invisibili sfruttati nelle campagne della Piana

ROSARNO «È un’operazione che ha il merito di ricordarci i valori della solidarietà e dell’accoglienza, perché in un momento storico in cui questo esodo quasi biblico per molti profili divide il Paese, penso che non dobbiamo mai dimenticare i nostri doveri di solidarietà e di accoglienza, e ricordarci che queste operazioni servono a reprimere un fenomeno di gravissimo sfruttamento che non fa onore al nostro Paese». Con queste parole il procuratore di Palmi, Ottavio Sferlazza, ha voluto commentare l’operazione che questa mattina ha portato alla notifica di un’ordinanza di custodia domiciliare a sette persone fra imprenditori agricoli e caporali di Rosarno, tutti accusati di lucrare sullo sfruttamento dei migranti nelle campagne di Rosarno. Per il pm Luigi Iglio che ha coordinato l’inchiesta, ad arricchirsi grazie alle inumane condizioni di lavoro cui erano ridotti i braccianti erano cinque italiani: Davide e Alessandro Madaffari, Salvatore Di Bartolo e Giuseppe Ravalli, coadiuvati dai caporali Mohammed Keita, maliano e Filip Kuzev, di nazionalità bulgara. Stando a quanto emerso, fanno tutti parte di una vera e propria organizzazione finalizzata all’intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro, un reato di cui dovranno rispondere insieme a quelli di reclutamento di manodopera clandestina di lavoratori extracomunitari privi di permesso di soggiorno o scaduto, violazione della normativa previdenziale di tutela dei lavoratori subordinati, truffa aggravata ai danni di enti pubblici. Accuse che tuttavia forse solo in parte riescono a rendere le inumane condizioni di sfruttamento cui sono sottoposti centinaia di migranti, non solo di origine nordafricana, ma anche dell’Europa dell’Est. Per mesi i carabinieri hanno monitorato i campi per documentare le angherie cui sono sottoposti i braccianti, cui vengono negati riposi settimanali, ferie pagate, malattia. Con turni massacranti, di fatto pari se non superiori alle ore di luce, i migranti sono obbligati a lavorare senza un adeguato abbigliamento protettivo, facendo fronte alle avversità climatiche con mezzi di equipaggiamento di fortuna, per poco meno di 0,50 centesimi a cassetta di agrumi raccolta. A vigilare sul lavoro di centinaia di connazionali e non, ci sono i caporali, che reclutano la manodopera giornaliera, sovente non specializzata, per collocarla poi presso i datori di lavoro senza scrupoli. A pagare sono sempre i lavoratori, costretti a versare una “tassa di sfruttamento” sulla misera retribuzione perceputa, pena l’impossibilità di trovare un impiego nei giorni e nelle settimane successive. Un ricatto cui difficilmente i migranti, privi di permesso di soggiorno o da troppi tempo inoccupati e alla ricerca di impiego, riescono a sottrarsi. Un sistema che fa comodo ai datori di lavoro, che in tal modo non solo possono sfruttare senza ritegno manodopera senza diritti e senza pretese, che non si ribella perché terrorizzata dalla prospettiva dell’espulsione, ma hanno anche enormi vantaggi fiscali. Tutti i pagamenti avvengono in nero e senza garanzia, non ci sono contributi da versare, né tasse da riconoscere allo Stato. Per lo Stato, nei campi di Rosarno lavorano dei fantasmi. Proprio per questi motivi, i militari hanno anche eseguito provvedimenti di sequestro preventivo di beni immobili, tra cui la “Apo Calabria Società Cooperativa agricola a r.l.”, e mobili, come i mezzi adoperati per il trasporto degli extracomunitari sui terreni, per un valore complessivo di circa 1 milione di euro. «Il fatto che l’Arma dei carabinieri, con molti sacrifici, lavorando in condizioni veramente difficili, sia riuscita a disarticolare un’organizzazione per quanto piccola che però sfruttava il lavoro di questi nostri fratelli, credo ci debba inorgoglire – ha voluto sottolineare Sferlazza –. Il nostro Paese ha una legislazione che è ispirata a sentimenti di solidarietà. Prevedere una fattispecie particolare, il 603 bis, che punisce proprio queste forme di intermediazione parassitaria del lavoro, fa onore a una legislazione che è ispirata a sentimenti di fraternità e di accoglienza».

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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