REGGIO CALABRIA La disoccupazione nel Mezzogiorno assume connotati preoccupanti: secondo i dati del Rapporto giovani sulla disoccupazione, effettuato su un campione di italiani dai 18 ai 30 anni, a cura dell’Istituto Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore, non dipingono sicuramente un quadro positivo della situazione attuale, nel Sud e in particolare in Calabria. Secondo il dossier, circa l’84% dei giovani è pronto a espatriare per trovare un lavoro.
Il divario tra Nord e Sud, particolarmente accentuato dalla recessione che nel 2013 ha interessato una variazione in negativo del Pil del Mezzogiorno per una percentuale del 3.5%, ha condizionato in negativo gli investimenti sia italiani che europei nel meridione, diminuiti in maniera sensibile in tutti i settori, dai trasporti alle infrastrutture, dall’istruzione all’agricoltura. Solo negli anni 2008-2013, gli investimenti nei vari settori hanno subito un taglio del 53.4%, con quasi il 50% nell’industria e poco più del 44% nell’agricoltura. Gli investimenti nelle opere pubbliche al Sud si assestano in poco più di 2mila milioni di euro, contro gli oltre 10mila milioni destinati al Centro-Nord.
I dati del Rapporto Svimez 2014 sull’economia del Mezzogiorno non lasciano dubbi: mentre al Nord si continua bene o male a cercare di rianimare l’economia locale – tanto che negli anni 2014-2015 le aree settentrionali risultano in lieve ripresa – il Sud sembra essere destinato a una ancora lunga recessione.
I dati sul mondo del lavoro non sono incoraggianti: tra il 2008 e il 2013 sono stati persi al Sud quasi 600mila posti di lavoro, su un totale di circa un milione in tutta Italia, mentre tra il 2013 e il 2014 ne sono stati persi altri 90mila, contro i nuovi 76mila del Nord Italia. A fine 2013, per la prima volta il Mezzogiorno è sceso sotto la soglia di 6 milioni di occupati, con un livello di occupazione tra i più bassi d’Europa.
E nel quadro di una crisi generale che non lascia scampo, è l’occupazione giovanile a farne le spese maggiori: tra il 2008 e il 2013 le persone tra i 15-34 anni hanno perso 582,1 mila posti di lavoro, dai 35-49 anni -181,1 mila posti e oltre i 50 anni “solo” 180mila posti di lavoro in meno. Solo un meridionale su 4 oggi gode di un’occupazione, e soltanto una donna su 5 possiede lo stesso privilegio.
Nel 2012, un terzo di famiglie del Sud risultava nella fascia più povera, con un trend di povertà in crescita che supera di due volte e mezzo quello nazionale.
La crescita della popolazione ha subito un forte arresto nel Mezzogiorno: le persone non fanno più figli, la natalità è bassa perché il lavoro manca, e con esso la possibilità di mantenere una famiglia. Anche i consumi sono in caduta libera, le famiglie scelgono di spendere per i bisogni primari come l’alimentazione – guardando in ogni caso al risparmio – tralasciando tutte le spese accessorie o considerate superflue.
Ma il fenomeno più preoccupante della mancanza di lavoro nel Mezzogiorno ha un altro nome, si chiama emigrazione. Il rapporto Svimez parla di un vero e proprio esodo, stimando che dal 2001 oltre mezzo milione di giovani tra i 15 e i 34 anni abbiano abbandonato il Sud Italia per cercare fortuna altrove, un 26% anche con una laurea in tasca.
«Siamo diventati – ha detto Alessandro Rosina, ordinario di Demografia e statistica sociale, direttore Lsa dell’Università Cattolica di Milano – un Paese che dal punto di vista quantitativo ha ridotto le generazioni dei giovani. Nei Paesi in cui le politiche funzionano, la crescita è maggiore sia in termini di natalità che di occupazione e di produzione. Potremmo compensare la riduzione quantitativa – ha spiegato – con un potenziamento qualitativo, come succede ad esempio in Francia, dove i giovani sono di meno ma vengono sostenuti nel loro percorso. Noi invece abbiamo generazioni sempre meno consistenti di giovani che si affacciano al mercato del lavoro, e anche essendo di meno nessuno investe su di loro per tentare di evitare il fenomeno migratorio. Abbiamo una montagna di giovani che non studiano e non lavorano e una parte rischiano di diventare un costo sociale che non possiamo sostenere».
Sarebbero circa 200mila i giovani tra i 15 e i 34 anni che non studiano e non lavorano, la “Generazione Ni-Ni”, nome mutuato dallo spagnolo “nì estudia nì trabaja”. Giovani e giovani adulti figli della sfiducia verso le istituzioni che non vedono un futuro – soprattutto in Italia – ma che, da bravi figli degli anni Duemila, non esitano a mettersi in gioco in altri modi, preferendo mete lontane ma a portata di click per una sorta di “emigrazione 2.0”, in cui non si parte senza prima essersi informati, magari dalle testimonianze di qualcuno che ha cercato fortuna altrove qualche tempo prima.
«L’immigrazione giovanile è un tema difficile per il rischio di cadere nella retorica – ha detto Giuseppe Provenzano di Svimez – nella scelta di andare via pesano le condizioni e la qualità della vita, pesa la partecipazione a un processo di cambiamento. In Calabria si è perso 1/3 dell’occupazione giovanile, bisogna intervenire prima che il fenomeno dell’emigrazione arrivi a un punto di non ritorno».
Presenti in conferenza stampa anche gli esponenti del Partito Democratico Nicola Irto e Antonino Castorina, che si sono detti fiduciosi sul futuro dei giovani in Calabria: «Bisogna creare un dialogo con le istituzioni – hanno detto – per dare una risposta sul tema del lavoro. Il Partito Democratico è il partito del lavoro, per questo ci applicheremo ad apportare misure che migliorino la soluzione attuale. Abbiamo presentato già alcune proposte di legge e sono partiti progetti importanti per il lavoro – hanno concluso – piccoli segnali che ci fanno ben sperare».
In prima linea anche l’impegno del capogruppo del Partito democratico in consiglio regionale, Sebi Romeo, che ha definito ogni forma di emigrazione «il fallimento della politica. Perché se un cittadino si deve spostare dal suo territorio per cercare di lavorare o di poter studiare vuol dire che la politica del territorio ha fallito. La Regione Calabria – ha aggiunto – sviluppa delle iniziative ad hoc nello sforzo di mettere insieme le istituzioni per il bene della Calabria in termini di investimenti ed interventi. Raggiungeremo gli obiettivi che ci siamo prefissati anche con i fondi comunitari, cambieremo strategia e idee e punteremo tutto sulla concretezza dei nostri atti. Abbiamo intenzione di garantire studio e lavoro a chiunque oggi pensi di non potervi accedere».
Benedetta Malara
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