REGGIO CALABRIA La sua prima deposizione in aula è prevista per luglio, ma già filtrano indiscrezioni sulla caratura del nuovo collaboratore di giustizia in mano alla Dda reggina. Non è un picciotto, non fa parte e non ha mai fatto parte della struttura militare dell’organizzazione, ma l’apporto che Enrico De Rosa potrebbe dare – si ammette in Procura – è decisamente significativo. Professionista del settore immobiliare, cresciuto nel regno dei Caridi-Borghetto-Zindato, che fra i quartieri Modena, Ciccarello e San Giorgio Extra hanno il proprio storico feudo, nel corso della propria vita ma soprattutto della propria carriera avrebbe sviluppato i contatti che lo avrebbero portato a conoscere i suoi futuri “mentori” criminali. Per reati che lui stesso ha confessato, è infatti indagato per associazione mafiosa, ma sulle condotte che gli vengono contestate per adesso è buio pesto. Fin dal principio, la Dda ha voluto blindare il collaboratore dietro una coltre di silenzio, che lo ha protetto ben oltre i 180 giorni in cui ha completato la fase “illustrativa” della sua collaborazione, il periodo in cui un aspirante pentito deve mettere a verbale tutto quello che sa. A chiamarlo in causa e in aula per la prima volta è stato il sostituto procuratore Teodoro Catananti, che ne ha chiesto e ottenuto l’audizione nel processo per il tentato omicidio dei titolari del negozio “Global frutta”, Filippo Nocera e Francesco Barreca. Alla sbarra per questo ci sono Antonino Pricopo e Gioele Carmelo Mangiola, accusati di aver più volte sparato contro i due fruttivendoli senza riuscire a colpirli solo perché le armi utilizzate si sono più volte inceppate. Circostanze su cui il nuovo collaboratore, stando a quanto anticipato dal pm Catananti, ha qualcosa da riferire, anche se – suggeriscono fonti vicine alla Procura – è soprattutto sul fronte del reinvestimento dei capitali mafiosi che De Rosa potrebbe essere in grado di dire qualcosa di più. Particolari che probabilmente non verranno rivelati nel corso della sua prima audizione pubblica, ma di certo potrebbero emergere dalle deposizioni che a breve verranno depositate in diversi procedimenti o trasmesse alla Procura generale perché se ne valuti la rilevanza per i processi che la Corte d’appello sarà chiamata a trattare. Nonostante per adesso ci sia massimo riserbo sulle informazioni messe a verbale dal nuovo collaboratore, così come sulle circostanze che lo hanno indotto a intraprendere un percorso di collaborazione, le indiscrezioni vanno tutte in un’unica direzione: Enrico De Rosa è un uomo che è stato messo nelle condizioni di venire direttamente a conoscenza di “fatti” criminali e ne ha riferito con dovizia di particolari. «Il suo buon livello di scolarizzazione – ammettono gli inquirenti – gli ha permesso di essere preciso e puntuale nelle sue dichiarazioni. E si tratta – dicono – di dichiarazioni importanti. Di lui, in procura si mormora che “ci fossero più De Rosa e meno Moio saremmo molto più avanti”. Un commento apparentemente superficiale ma che potrebbe dare il metro dell’apporto collaborativo del nuovo pentito. Roberto Moio, al quale è stato paragonato, non era un personaggio di secondo ordine nell’organigramma della ‘ndrangheta reggina. Nipote acquisito del boss Tegano, grazie a lui è stato possibile fare luce non solo su gerarchie e ruoli del suo clan di appartenenza, ma anche sull’infiltrazione degli arcoti nella società mista Multiservizi, sciolta per mafia in seguito all’inchiesta che l’ha mostrata totalmente in mano alle ‘ndrine. Un affare centrale nell’evoluzione criminale della ‘ndrangheta cittadina, al pari della speculazione immobiliare, privilegiato settore di reinvestimento di capitali illeciti, per questo finito al centro di inchieste ancora aperte come di procedimenti già giunti in fase dibattimentale. Fascicoli su cui De Rosa pare essere in grado di dire qualcosa di più.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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