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Bimbo morto in ospedale, il pm chiede la condanna del primario

COSENZA Il pm Antonio Bruno Tridico della Procura di Cosenza ha chiesto un anno di reclusione per Domenico Sperlì, primario del reparto di Pediatria dell’ospedale “Annunziata” di Cosenza. Sperlì è …

Pubblicato il: 15/06/2015 – 14:48
Bimbo morto in ospedale, il pm chiede la condanna del primario

COSENZA Il pm Antonio Bruno Tridico della Procura di Cosenza ha chiesto un anno di reclusione per Domenico Sperlì, primario del reparto di Pediatria dell’ospedale “Annunziata” di Cosenza. Sperlì è imputato, assieme ad alcuni colleghi, per la morte di Romano Marino, il bambino di 13 anni deceduto nel nosocomio bruzio nel 2010. Il piccolo era affetto dalla Sindrome da attivazione macrofagica, una malattia autoimmune sottostimata che ha un’incidenza di 1 a 50.000 come la piu conosciuta Sla.

Per l’accusa, i sanitari avrebbero perso tempo utile per avviare le cure necessarie al bambino. Il pubblico ministero ha chiesto, invece, l’assoluzione per gli altri imputati, che sono medici del reparto: Marianna Neri, Clementina Rossi, Rosanna Camodeca, Rosaria De Marco e Vittoria Greco. Nella sua requisitoria, questa mattina il pm ha motivato la richiesta di assoluzione perché Sperlì ha ribadito che ogni azione è stata fatta nell’assoluto rispetto delle regole ma sempre su sua direttiva, ribadendo – però – di aver fatto di tutto per salvare il ragazzino. Secondo la pubblica accusa, invece, non avrebbe capito in tempo che cosa avesse il 13enne e non si sarebbe agito tempestivamente. Dopo la requisitoria del pm, è toccato alle parti civili iniziare la loro arringa. «La vita del piccolo Romano Marino – afferma, in una nota, l’avvocato di parte civile Francesco Iacovino – è stata stroncata da morte ingiusta. Ingiusta ed evitabile perché avvenuta a seguito di omessa (e/o ritardata) diagnosi e di omessa terapia. ln un paziente con i sintomi di Romano la terapia andava iniziata subito (con ciclosporina desametasone e etoposide). Gli imputati avevano tutta questa situazione sotto gli occhi, ma hanno pensato che si trattasse di insufficienza respiratoria acuta o di sepsi. In quest’ottica, le condotte tenute dagli imputati denotano la mancanza di una visione d’insieme del quadro clinico generale del malato, una lettura frammentaria, ma soprattutto sbagliata, di tutti gli elementi diagnostici disponibili. Risulta quindi palese come si sia atteggiata la strategia difensiva, volta a tentare di deprivare di fondamento la richiamata sussistenza degli elementi utili alla formulazione di una corretta e tempestiva diagnosi. Allora il piccolo al 70-80% poteva essere salvato, non doveva morire e non dobbiamo avere paura della verità. Non possiamo permetterci di trascurare la verità, specialmente quando ci svetta davanti alta e fiera come una montagna. Perché questo non è un semplice caso di responsabilità medica, questo è uno dei casi più importanti mai arrivato davanti a codesto Tribunale, perché quello che in effetti oggi è in discussione è la fiducia nelle istituzioni. La famiglia si è affidata alle stituzioni: a quelle sanitarie prima, a quella giudiziaria poi».

Il processo è stato rinviato al prossimo 22 giugno per le arringhe della difesa (Sperlì, Neri, Rossi, Camodeca e De Marco sono difesi dall’avvocato Pierluigi Pugliese).

 

Mirella Molinaro

m.molinaro@corrierecal.it

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