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Le "false" riforme sulla Giustizia

A distanza di qualche settimana sono costretto ad aggiornare l’elenco delle leggi che, nonostante gli intenti enfaticamente proclamati, contengono, intenzionalmente o meno, dei veri e propri virus …

Pubblicato il: 18/06/2015 – 6:58

A distanza di qualche settimana sono costretto ad aggiornare l’elenco delle leggi che, nonostante gli intenti enfaticamente proclamati, contengono, intenzionalmente o meno, dei veri e propri virus che ne rendono l’applicazione problematica, certamente difficile, con risultati che finiscono per beneficiare piuttosto che punire gli autori dei reati “riformati”.
Questa volta si tratta di una legge fresca di stampa, la n. 69 del 27 maggio 2015, entrata in vigore il 14 giugno di quest’anno, quella che ha introdotto disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio. Mi occuperò, al momento, solo della riforma del reato di falso in bilancio, di fatto depenalizzato con la riforma dell’art. 2621 del codice civile nel 2002 (ministro della Giustizia Castelli-presidente del Consiglio Berlusconi), ed ora riformato con notevole inasprimento delle pene e procedibilità di ufficio. Tutto bene dunque? Purtroppo no. Dopo appena due giorni dalla sua entrata in vigore, è intervenuta la sentenza della corte di Cassazione in un processo nel quale l’imputato (poco importa a chi scrive citare il nome dell’imputato, che pure è personaggio di non poco rilievo) aveva riportato per il reato di falso in bilancio una condanna a sei anni e nove mesi di reclusione. La Corte, si è trovata ad applicare la nuova normativa e, proprio sulla base delle innovazioni in essa contenute, ha annullato la condanna. Il motivo che ha determinato la imprevista conclusione è dovuto all’inserimento o alla soppressione, a seconda dei casi, di poche parole, per stravolgere la norma con esiti, guarda caso, sempre favorevoli agli imputati.
La nuova legge, all’art. 9, sembra ricalcare la previsione della legge Berlusconi-Castelli, punisce, tra l’altro, chi espone in bilancio, o altre comunicazioni sociali, «fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero”, dimenticando però, guarda tu il caso, di completare la citazione con tre paroline “ancorché oggetto di valutazioni». Questa espressione, apparentemente di poco rilievo, rendeva possibile la punizione dei falsi consistenti nel valutare falsamente i cespiti i crediti, gli ammortamenti, i beni immobili, il valore dei calciatori, al fine di ingannare i terzi creditori o acquirenti. Nella legge Berlusconi era prevista una soglia di punibilità nel senso che tali falsità erano punibili se le valutazioni si discostavano per più del 10% dal valore reale. Nella legge Renzi-Orlando, la soppressione della falsità della valutazione, ha di fatto ridotto la portata della legge a mera ipotesi residuale, che lascia impuniti i casi più raffinati e rilevanti dal punto di vista economico e fiscale. La Corte, come sarà evidente appena saranno pubblicate le motivazioni della sentenza, ha già tratto le inevitabili conclusioni. Si ripete insomma quanto già avvenuto in materia di concussione e induzione alla corruzione, di voto di scambio e, presto, anche in materia di autoriciclaggio.
La sentenza ha provocato scalpore, e i giornali saranno pieni di commenti severi verso un legislatore così maldestro, ma la ripetitività degli errori, sempre, ripeto, sempre, a favore degli indagati, consente al cittadino di nutrire il sospetto che qualche silenziosa e accorta manina provveda ad apportare quei ritocchini, invisibili e apparentemente insignificanti, sufficienti a stravolgere il senso delle norme e a neutralizzarne gli effetti che si volevano, apparentemente, conseguire. Il sospetto di tale tipo di intervento è autorizzato dalla circostanza che nella relazione del governo che accompagnava il disegno di legge, quell’inciso era ancora presente per poi sparire nei passaggi tra commissione e aula, o da un ramo a l’altro del parlamento.
Sul resto della legge avremo modo di riparlare. Non è escluso infatti che essa nasconda altre insidie analoghe a quella che la corte di Cassazione ha immediatamente posto in evidenza. Un altro trofeo, sollevato troppo presto e con troppo clamore, deve essere abbassato e gli innumerevoli giuristi, almeno quelli in buona fede, che affollano le aule parlamentari e i palazzi di governo, ricevono una nuova secca smentita delle loro capacità. È proprio vero: giuristi cercasi.

 

*magistrato

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