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Da Nardodipace ai vertici del narcotraffico

VIBO VALENTIA Quando andò via da Ragonà, Cosimo Damiano Tassone era da poco diventato maggiorenne. Era la fine degli anni ’80 e lui, assieme al fratello minore e alle due sorelle, da quella frazion…

Pubblicato il: 19/06/2015 – 15:13
Da Nardodipace ai vertici del narcotraffico

VIBO VALENTIA Quando andò via da Ragonà, Cosimo Damiano Tassone era da poco diventato maggiorenne. Era la fine degli anni ’80 e lui, assieme al fratello minore e alle due sorelle, da quella frazione sperduta di Nardodipace, letteralmente aggrappata ai monti delle Serre vibonesi, partì alla volta di Roma. I quattro fratelli erano rimasti orfani: la madre era morta diversi anni prima mentre il padre, Ilario, era stato ucciso nel 1987, caduto vittima di una delle faide familiari che, in quegli anni, insanguinarono le vallate solcate dal fiume Allaro. Un emigrante partito come moltissimi altri da un paesino dell’entroterra, dunque. Un ragazzo che ha abbandonato il paese di nascita poco più che adolescente e con alle spalle un’infanzia dolorosa, il cui nome, però, trent’anni dopo sarebbe divenuto noto alle cronache nazionali. Cosimo Tassone, infatti, oggi è un 46enne che la Guardia di finanza e la Procura antimafia di Roma considerano il capo indiscusso di un’organizzazione che, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbe trafficato centinaia di chili di cocaina destinata alle piazze della capitale. L’uomo è stato arrestato ieri assieme al fratello 44enne Giuliano, al 24enne Fabio Martino, al 45enne Joseppe Franco Fazio (tutti originari di Nardodipace) e ad altre 15 persone accusate, a vario titolo, di far parte di una «cellula» capitolina della ‘ndrangheta che, in due anni, avrebbe importato più di una tonnellata (1.062 chili) di cocaina direttamente da Colombia, Ecuador, Argentina e Brasile. Non solo: l’organizzazione capeggiata dal 46enne di Ragonà, secondo quanto emerge dall’inchiesta romana, sarebbe riuscita anche a “lavare” il denaro frutto del narcotraffico grazie alla compiacenza di alcuni “colletti bianchi”, tra cui promotori finanziari, manager e diplomatici stranieri.

IL SISTEMA
Secondo quanto emerge dalle indagini condotte dalle Fiamme gialle (coordinate dal sostituto Ilaria Caliò e dall’aggiunto Michele Prestipino), Tassone e i suoi uomini «sono in grado di organizzare spedizioni via container o via aerea di ingenti quantitativi di cocaina proveniente dal Sud America», hanno «contatti operativi in Europa (segnatamente in Germania, Olanda, Spagna e Inghilterra) funzionali alla realizzazione delle importazioni» e dispongono di flussi di denaro tali da essere in grado di finanziare «i viaggi aerei e i soggiorni all’estero, l’acquisto dello stupefacente – per un ammontare superiore al milione di euro per ogni operazione di importazione – e le perdite subìte per le operazioni non concluse».
A ricostruire il sistema, attraverso le risultanze investigative raccolte dalla Dda di Roma, è il gip che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare, Costantino de Robbio. Lo schema seguito per i diversi traffici prevede innanzitutto il contatto diretto con i fornitori sudamericani e il conseguente accordo per l’invio, in container diretti a porti italiani ed europei, di casse contenenti da 200 a 350 chili di coca nascoste in mezzo a merce legale. Il pagamento avveniva con il reperimento di grosse somme di denaro contante «anche attraverso operazioni bancarie di dubbia liceità che lasciano presumere l’appoggio anche di dipendenti degli istituti di credito utilizzati». Poi il denaro veniva trasferito all’estero «attraverso appoggi in ambienti diplomatici per non destare sospetti sulle transazioni internazionali».
Tutto, dal momento della spedizione fino all’arrivo a destinazione, veniva monitorato attraverso «canali informativi in grado di dare conferma dello sbarco della nave» o, in caso di imprevisti, di organizzare il passaggio della partita di droga anche in alto mare. Infine avveniva lo smistamento nelle piazze di mercato «attraverso una rete di spacciatori cui gli associati consegnano piccole partite di stupefacente».

LO “STRANO”
I primi traffici monitorati dagli inquirenti risalgono alla primavera del 2013. Tassone, intercettato, ne discuteva con Fazio, che vive a Marbella, in Spagna. Nella conversazione si parla di una riunione da tenere ad Ibiza per esaminare la possibilità di avvalersi degli intermediari conosciuti da Fazio. Tassone – che nel giro romano viene chiamato “lo Strano” o più genericamente “il calabrese” – raccomandava a Fazio di illustrare agli interlocutori il suo «livello criminale», facendo presente che «in Italia solo altre due tre persone potevano vantare la stessa disponibilità economica sua e del suo gruppo». L’incontro di Ibiza per gli investigatori serviva a organizzare il trasporto dal Sud America alla Spagna (via Olanda) di 700 chili di cocaina destinati (in tutto o in parte) all’organizzazione guidata da Tassone.
Ma questo è solo il primo dei traffici finiti al centro delle indagini. È comunque sempre Tassone, nei diversi episodi ricostruiti dagli inquirenti, «a coprire le spese per le perdite dei carichi di stupefacente» dovuti o ai sequestri della polizia o a problemi con i fornitori: «In alcune occasioni egli si è recato dunque all’estero sia per verificare nei porti di spedizione e transito il motivo per cui il carico non era giunto a destinazione, sia per riferire ad altri soggetti interessati alle operazioni quanto accaduto (come accaduto all’inizio del 2014 quando riferisce di essere andato a Duisburg a parlare con alcuni referenti in loco di un quantitativo di stupefacente non andato a buon fine)».

LE RACCOMANDAZIONI: «SIAMO PUNTATI»
Quando poi arrestano uno dei suoi collaboratori più stretti, Massimo Giuliani, Tassone, dopo aver cercato di scoprire se l’accaduto fosse riconducibile a una soffiata degli acquirenti, andava ad Aprilia assieme a Martino «per parlare direttamente con alcuni spacciatori della loro rete ed approfondire la vicenda». A questi e allo stesso 24enne originario di Nardodipace, Tassone raccomandava di adottare un profilo basso per non destare l’attenzione delle forze dell’ordine. In altre occasioni, in particolare mentre mostrava a Martino l’ubicazione di un appartamento da usare come base per i traffici, Tassone forniva al giovane compaesano indicazioni anche più circostanziate: «Non hai capito che ultimamente noi dobbiamo stare fermi, te lo dico io, i calabresi devono stare fermi, per questo ti dico di non scherzare (…) tu devi mangiare ed andare a lavorare…ti metti una tuta, una maglietta normale un paio di jeans normali…». Martino risponde: «E che non ho soldi per comprarli?». Ma Tassone ribadisce: «Anzi normale ti dovresti mettere una tuta da lavoro. Non scherzate, non scherzate che siamo puntati, ci rompono i coglioni».

 

Sergio Pelaia

s.pelaia@corrierecal.it

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