Ultimo aggiornamento alle 13:46
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 5 minuti
Cambia colore:
 

Reggio, i verbali del nuovo collaboratore agli atti di "Rifiuti 2"

REGGIO CALABRIA Finiscono agli atti anche del procedimento “Rifiuti spa 2” le dichiarazioni del nuovo pentito gestito dalla Dda reggina, Enrico De Rosa, il professionista che per lungo tempo si è o…

Pubblicato il: 24/06/2015 – 18:31
Reggio, i verbali del nuovo collaboratore agli atti di "Rifiuti 2"

REGGIO CALABRIA Finiscono agli atti anche del procedimento “Rifiuti spa 2” le dichiarazioni del nuovo pentito gestito dalla Dda reggina, Enrico De Rosa, il professionista che per lungo tempo si è occupato di reinvestire nell’immobiliare il denaro del clan Caridi-Borghetto-Zindato. Stando a quanto filtra, De Rosa non sarebbe stato direttamente in contatto con il clan Alampi – principali imputati del procedimento – ma di loro gli avrebbe diffusamente parlato Matteo Palumbo, familiare dei Caridi con cui il professionista sarebbe stato in continuo contatto fino quando non avrebbe deciso di pentirsi. Un percorso di collaborazione per lungo tempo tenuto sotto stretto riserbo, ma su cui gli inquirenti sembrano contare molto. Tuttavia i primi verbali di De Rosa non sono gli unici documenti che il pm Rosario Ferracane, insieme al sostituto procuratore Giuseppe Lombardo assegnatario del fascicolo, ha chiesto e ottenuto di depositare. Agli atti del procedimento è finita anche una nuova lunga informativa su Matteo Alampi sulla base della quale è stata modificata la contestazione del reato associativo, prolungato fino al momento dell’arresto, come pure l’elenco dei colloqui che i due avvocati imputati – Giulia Dieni e Giuseppe Putortì – avrebbero effettuato in carcere con i  propri assistiti. Colloqui che per i magistrati sarebbero stati l’occasione per ricevere notizie da trasmettere poi all’esterno, attività che è costata ai due legali la pesantissima contestazione di associazione mafiosa. 

 

CONFERMATA L’ASSOCIAZIONE MAFIOSA PER I LEGALI Nonostante i legali dei due penalisti abbiano ottenuto dal Riesame l’annullamento dell’ordinanza sulla base della mancanza di attualità delle esigenze cautelari, gli indizi di colpevolezza – tanto per i giudici di Riesame e Cassazione – come per la procura sono rimasti validi e in piedi. Per questo, nel chiedere il rinvio a giudizio i pm Lombardo e Ferracane hanno ribadito che Dieni e Putortì «fornivano uno stabile e concreto contributo al mantenimento ed al rafforzamento dell’articolazione territoriale della ‘ndrangheta facente capo al predetto Alampi Matteo, prestandosi in modo consapevole e sistematico a fare da postini, nonché da portatori di messaggi e notizie recanti le specifiche direttive impartite dal carcere dall’Alampi ai sodali non detenuti finalizzate a garantire la concreta gestione delle suddette attività economiche (sottoposte ad amministrazione giudiziaria e facenti parte in origine del proprio gruppo imprenditoriale) e delle vicende direttamente e/o indirettamente ad esse connesse in modo pienamente conforme al programma criminoso del sodalizio. Più in generale, Giuseppe Putortì e Giulia Marta Rossana Dieni si mettevano a completa disposizione degli interessi  della cosca cooperando con gli altri associati nella realizzazione de! programma delittuoso del gruppo».

 

IL BUSINESS DEGLI ALAMPI Al centro dell’inchiesta Rifiuti spa 2  è finito il clan Alampi – nota cosca “imprenditrice”, con forti interessi economici in tutta Italia e all’estero, gestiti all’ombra del più potente clan Libri – i cui capi e sodali erano riusciti ad allungare i propri tentacoli soprattutto nel settore dei rifiuti, ma anche in altri contesti nel settore degli appalti ecologici, nel cui ambito sono stati accertati gli accordi tra le cosche reggine per la spartizione degli enormi profitti derivanti dalla gestione fraudolenta delle discariche regionali, che i boss anche dal carcere riuscivano a spartirsi, grazie anche – stando a quanto emerso dalle indagini – ai messaggi che da dietro le sbarre i legali dei detenuti facevano filtrare. Allo stesso modo, per i magistrati il clan era in grado di  mantenere sotto il proprio controllo imprese sequestrate,  grazie alla complicità di un amministratore giudiziario, Rosario Spinella, arrestato e poi scarcerato insieme ai due penalisti. Ma quando l’operazione è stata eseguita, in manette è finito anche l’imprenditore ‘ndraghetista Matteo Alampi arrestato insieme alla moglie Maria Giovanna Siclari in Francia. Subito dopo la scarcerazione avvenuta nel mese di marzo 2014, al termine di un periodo di detenzione per associazione mafiosa, Alampi si era infatti trasferito a Villefranche, per sottrarsi alla notifica della sorveglianza speciale. Per i pm reggini, né il carcere né la lontananza dalla Calabria avrebbero interrotto gli affari criminali di Alampi è ritenuto la mente imprenditoriale dell’organizzazione criminale, già capeggiata dal padre Giovanni Alampi, capo del “locale” di Trunca, attivo nell’omonima frazione del capoluogo reggino.

 

AZIENDE CONTROLLATE A DISTANZA «Mediante il fittizio paravento giuridico di un’impresa, la Rossato sud s.r.l. ed il Consorzio Stabile Airone sud, della quale continua a mantenere la direzione e la gestione, nonostante i provvedimenti ablativi dell’Autorità giudiziaria – scriveva infatti il gip Barbara Bennato – la cosca riesce a perseguire i propri scopi illeciti e ad assicurarsi guadagni dall’esercizio di attività imprenditoriali dalle quali è formalmente estranea». Il meccanismo – hanno svelato le indagini – era sofisticato e necessitava dell’appoggio di professionisti come Lauro Mamone, scelto da Matteo Alampi e tanto fedele e scrupoloso nell’attuazione delle direttive da essere definito dal gip vero «alter ego» del boss, e del direttore tecnico Domenico Alati. Seguendo scrupolosamente le direttive di Alampi, «vero e proprio regista dell’impresa» – all’epoca detenuto ma in grado persino di scegliere una nuova squadra di collaboratori, tra impiegati, operai ed autisti già in passato al suo servizio nella Edilprimavera – i professionisti scelti dal boss avrebbero provveduto a risanare economicamente i bilanci dell’impresa sequestrata al clan, con una mirata attività di saldo dei debiti e concomitante recupero dei crediti, ma soprattutto con il sistematico ricorso ai tradizionali metodi di intimidazione mafiosa nei confronti di fornitori e clienti. Nel frattempo però, la Edilprimavera  veniva progressivamente svuotata e utilizzata esclusivamente per il nolo a freddo dei mezzi d’opera a tutto vantaggio della Rossato Sud e del Consorzio Stabile Airone Sud. Ed erano proprio queste le società che oltre ad assumere fittiziamente personaggi del calibro di Diego Rosmini e Francesco Condello – il figlio del superboss Pasquale – come di altri uomini riconducibili ai clan, avrebbero fatturato operazioni inesistenti o emesso fatture ben al di sopra delle reali spese per creare il nero necessario per le necessità della cosca o per “retribuire” la cosca territorialmente competente, quando i lavori si svolgevano fuori dall’area di competenza degli Alampi.

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

 

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano | Privacy
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x