REGGIO CALABRIA Ventilatori, ricariche telefoniche, multe, bollette della tarsu, materiale per ristrutturazioni, iPad, iPhone, televisori e pc, ma persino un pacchetto di gomme da un euro: nei rendiconti dei gruppi del consiglio regionale calabrese ci è finito di tutto. E lo facevano tutti, dall’ex rifondarolo Antonino De Gaetano, promosso assessore ai Trasporti nonostante l’insistente comparsa del suo nome in atti giudiziari e oggi scivolato sull’indebito utilizzo di oltre 400mila euro dei fondi dei gruppi che gli è costato gli arresti domiciliari, all’ex assessore regionale del Pdl, Luigi Fedele, come il suo successore, destinatario di un’ordinanza di custodia domiciliare per quei quasi 400mila euro di fondi pubblici usati per finanziare spese private. Per il senatore Giovanni Emanuele Bilardi, cui la procura contesta oltre 357.000 euro, bisognerà attendere il via libera della Giunta per le autorizzazioni, mentre altri quattro ex consiglieri regionali – Nicola Adamo (ex capogruppo del Pd), Alfonso Dattolo (ex assessore all’Urbanistica, Udc), Giovanni Nucera (ex segretario questore Pdl) e Pasquale Tripodi (ex Udc, adesso Centro democratico) – più il collaboratore del senatore Bilardi, Carmelo Trapani, hanno ricevuto il divieto di dimora in Calabria. Oltre a loro, altri venti consiglieri – fra cui quelli che compongono la Giunta regionale – sono a vario titolo indagati per innumerevoli episodi falsità ideologica, peculato e falso in atto pubblico consumati fra il 2010 e il 2012, ma – spiega il procuratore capo Cafiero de Raho – «la Corte dei Conti ha accertato spese irregolari anche per il 2013 e questo spiega l’attualità delle esigenze cautelari». Traduzione: i fondi destinati dalla Regione alle spese dei gruppi erano un bancomat buono per esigenze di ogni tipo di capigruppo – per norma deputati a rendicontare tutto e responsabili penalmente di quanto affermato – di consiglieri regionali e dei loro collaboratori. Tutti finiti nel mirino della Procura di Reggio.
RUBERIE BIPARTISAN
Un’indagine complessa, durata anni, che il lavoro della Guardia di finanza – «eccellente» ci tiene a sottolineare il procuratore – ha trasformato in una gigantesca verifica fiscale, riscontrata da accertamenti bancari e patrimoniali, come da intercettazioni telefoniche, ambientali e videoriprese. «In materia di contributi ai gruppi regionali sono state sviluppate indagini in tutta Italia, ma qui sono stati svolti accertamenti talmente approfonditi che si è stati in grado di risalire a ciascuna posta, a ciascuna dichiarazione, a ciascuno scontrino. L’ordinanza di quasi mille pagine che ne è risultata, è il compendio di un’indagine a 360 gradi». E i cui risultati sono devastanti per la classe politica calabrese. Tutta. «L’indagine si chiama Erga Omnes – specifica il procuratore Cafiero De Raho – perché ha riguardato tutti i gruppi, nessuno è stato risparmiato dalle verifiche attente della guardia di finanza». Un lavoro di cui vanno fieri il comandante regionale, il generale Miglioli e quello provinciale, Alessandro Barbera, ma che restituisce uno spaccato devastante, che il procuratore aggiunto Gaetano Paci, non esita a ricostruire: «I fondi destinati ai gruppi consiliari, che sono regolamentati da una precisa e severa normativa, sono stati gestiti in larga parte in violazione delle leggi che la Regione Calabria si era data. Grazie a questa indagine abbiamo potuto accertare la non congruità e non idoneità delle spese con attività istituzionali, ma anche l’inesistenza delle spese».
LE SCUSE DI PULCINELLA
Il procuratore aggiunto Paci spiega: «Tarsi, viaggi all’estero, stampa di volantini elettorali, mezzi informatici, pagamento di bollette e multe, gratta e vinci, gadget, materiale edile: fra le spese dei gruppi è stato rendicontato anche questo. Ma nei rendiconti annuali, ci sono anche spese che non sono mai state effettuate». Diverse associazioni – formalmente destinatarie di finanziamenti e contributi – spesso non hanno ricevuto neanche un euro, mentre a ingrossare i rendiconti su cui i capogruppo avrebbero vigilare sono finite spese di tutti i tipi, dalle cene ai viaggi all’estero. «Secondo quanto prevede la legislazione regionale – precisa Paci – i capogruppo avevano l’obbligo di verificare la conformità delle spese, per questo sono stati anche sentiti diffusamente e sulla base delle loro dichiarazioni sono state fatte nuove verifiche. Nonostante le giustificazioni addotte dagli indagati, che fra maggio e giugno 2013 sono stati tutti sentiti, una consistente parte di queste spese non ha trovato giustificazione alcuna. Per questo per la procura di Reggio Calabria si è realizzato un delitto di peculato».
SCRUPOLOSO METODO D’INDAGINE
A spiegare come si sia arrivati a ricostruire l’inquietante spaccato della gestione dei fondi a Palazzo Campanella è il tenente colonnello Mario Intelisano, comandante gruppo di Reggio Calabria che ha materialmente condotto l’indagine, secondo le direttive del pm Centini. «L’attività è stata particolarmente complessa ed ha utilizzato la tecnica tipica della Guardia di Finanza che è quella della verifica fiscale, corroborata da verifiche bancarie e intercettazioni». Il comandante Barbera, senza nascondere l’orgoglio e la soddisfazione, la definisce un’attività «scrupolosa, attenta, minuziosa e capillare, scrupolosa, attenta, mirata solo ad accertare lo stato delle cose» e c’è da credergli se è vero che «si è arrivati a controllare anche l’acquisto di un pacchetto di chewing-gum da un euro», dice Intelisano. I controlli sono stati divisi in tre macro-aree: «La prima, spese relazionate alle finalità politiche del gruppo e/ o del partito», in cui sono stati fatti rientrare «iPhone, iPad, un televisore utilizzato presso un’abitazione privata e altri beni evidentemente estranei all’attività politica».
Nella seconda invece, i militari della Gdf hanno proceduto a verificare le spese rendicontate due volte. «Abbiamo accertato diversi casi in cui la medesima fattura veniva presentata per il rimborso tanto dal consigliere regionale come dal gruppo di cui faceva parte». Terza macroarea invece, le spese inesistenti, inserite in bilancio per giustificare gli esborsi ma in realtà mai effettuate. «I fondi – specifica Intelisano – venivano prelevati con bancomat o assegni senza presentare fattura o atto privato che ne giustificasse l’esborso». Una fotografia deprimente dei rappresentanti dei calabresi che il procuratore Cafiero de Raho preferisce non commentare. «Quando l’indagine riguarda la politica in modo così ampio non posso che recuperare la mia funzione di Procuratore della Repubblica e parlare solo attraverso le carte del provvedimento. In un territorio come questo in cui la ndrangheta condiziona così pesantemente la politica, dalla politica sarebbe necessaria una risposta chiara e certa. La gente si aspetta di essere aiutata di essere tirata fuori da questo vortice di malaffare».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
x
x