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«Abbiamo l'obbligo di credere nelle istituzioni»

COSENZA Un libro di storia, onesto e pulito che incarna quella figura di magistrato che tutti vorrebbero incontrare almeno una volta nella vita. È questo “La storia si è fermata”, il volume scritto…

Pubblicato il: 29/06/2015 – 17:20
«Abbiamo l'obbligo di credere nelle istituzioni»

COSENZA Un libro di storia, onesto e pulito che incarna quella figura di magistrato che tutti vorrebbero incontrare almeno una volta nella vita. È questo “La storia si è fermata”, il volume scritto da Mario Almerighi, magistrato di lungo corso e scrittore d’inchiesta. Un libro che è stato sfogliato, pagina dopo pagina, dallo stesso autore – oggi pomeriggio nella biblioteca dell’Ordine degli avvocati di Cosenza – assieme al direttore del Corriere della Calabria Paolo Pollichieni e al segretario della Camera penale di Cosenza, l’avvocato Paolo Guadagnuolo. Almerighi è stato pretore in Sardegna e a Genova. È stato eletto nel 1976 nel Consiglio superiore della magistratura di Vittorio Bachelet, e poi giudice istruttore a Roma. Ha indagato sulla morte di Roberto Calvi scoprendo per primo che si trattava di omicidio e non di suicidio.
«Le persone come noi – ha detto Almerighi – non sono sole, ma sono delle monadi. Ringrazio il colonnello della guardia di finanza Giampiero Carrieri per avermi convinto a venire. Perché ho scritto il libro? Per il bisogno di far conoscere la verità. Ero molto amico di Giovanni Falcone. Giovanni è morto perché è stato lasciato solo anche dai colleghi. Quando veniva a cena si metteva a giocare con mia figlia che aveva sette anni. Allora io gli dicevo: abbiamo la stessa età perché non lo fai anche tu un figlio? È lui mi rispondeva: non posso mettere al mondo un orfano. L’aspetto politico del libro emerge non in quello che viene definito lo scontro tra magistratura e politica, ma tra magistratura e legalità. Quando da giovane pretore ho affrontato il processo del petrolio ho evidenziato la compravendita del Parlamento italiano». Almerighi ha raccontato poi l’incontro che ebbe con Pertini in una lavanderia per paura delle microspie. «Io non sono un pessimista – ha raccontato – e credo molto nei corsi e ricorsi di cui parlava Vico. Spesso l’azione fenomeni patologici di illegalità, che la politica deve curare. All’indomani di Tangentopoli è stato abolito il falso in bilancio, che era lo strumento di cui si erano serviti i magistrati. Nel libro ho messo in evidenza le storture della politica nella magistratura. Bisogna vedere quale è l’obiettivo della politica nella magistratura. Quello che deve cambiare in questo Paese è la cultura perché la politica è figlia della cultura. La lunghezza dei tempi è uno degli strumenti per non fare funzionare la giustizia. Occorre un rilancio della cultura per i giovani come diritto».
«È l’unico posto in cui si poteva presentare il libro – ha detto Pollichieni – perché la categoria dei magistrati è l’unica a non essere massacrata, come ne escono invece a pezzi quella dei giornalisti e della politica, e qui non ci voleva molto. Proprio ciò testimonia l’onestà di tutto il libro. Che è un volume bellissimo che non fa sconti ai fatti e ai personaggi di quelle vicende. Ma soprattutto da’ un nome e un cognome ai protagonisti. Almerighi è il magistrato che ognuno di noi vorremmo incontrare perché il presidente Almerighi incarna quel desiderio di giustizia a cui ognuno di noi aspira. Incarna quello spirito di magistrato che io rivedo in diversi magistrati calabresi, conosciuti nel mio lavoro di cronista all’inizio, uno di questi oggi è procuratore generale ad Ancona. Abbiamo l’obbligo di credere nelle istituzioni: è questa la seconda cosa che mi ha colpito del libro. La prima e’ il linguaggio che il magistrato usa. Una pagina stupenda del libro e’ quella in crisi racconta quando dal pretore Almerighi si presenta un contadino per lamentarsi del fatto che le arance del vicino erano buone e le sue no. Da questo nasce la prima inchiesta sull’inquinamento». Pollichieni ha evidenziato anche il ricordo che nel libro Almerighi fa di Giovanni Falcone, perché «in punta di penna ne parla in modo onesto. Combattiamo ogni giorni con piccoli e grandi tradimenti, ma non possiamo immaginare una vita impostata sulla convenienza».
«È un libro prezioso – ha detto Guadagnuolo, che ha organizzato l’incontro e ha sottolineato il valore di ogni pagina del lavoro del magistrato Almerighi –. Ma è soprattutto – ha aggiunto – un libro di storia che fotografa uno spaccato importante. E ci lascia con una speranza. Perché ci invita a impedire l’espropriazione dei nostri cervelli».

 

 

Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it

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