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Politica e legalità: una convivenza difficile

Nel mondo del diritto non dovrebbero esistere scorciatoie e furbizie da utilizzare per soddisfare contingenti esigenze politiche in violazione di specifici precetti della legge, anche quando diveng…

Pubblicato il: 29/06/2015 – 14:32

Nel mondo del diritto non dovrebbero esistere scorciatoie e furbizie da utilizzare per soddisfare contingenti esigenze politiche in violazione di specifici precetti della legge, anche quando divengono scomodi e intralciano strategie e manovre più o meno legittime. Quando si ignora questo principio fondamentale dello Stato di diritto, prima o poi i nodi vengono al pettine e creano complicazioni maggiori di quelle che si voleva eludere.

Occorre tornare allora sul complicato caso Vincenzo De Luca, sospeso dalla carica di presidente della giunta regionale della Campania, ai sensi dell’art. 8 del decreto legislativo 231 del 2012, meglio noto come Legge Severino. Nell’articolo “Giuristi cercasi” di qualche mese fa avevo osservato come la legge preveda l’automatismo della sospensione al verificarsi del suo presupposto. In questo caso, poiché la sentenza di condanna in primo grado precedeva le elezioni regionali del 31 maggio, il presupposto è costituito dalla proclamazione dei risultati da parte della Corte d’appello di Napoli e dal successivo insediamento del Consiglio. La sospensione deve essere infatti notificata, a cura del prefetto del capoluogo della Regione, al competente consiglio regionale per l’adozione dei conseguenti adempimenti di legge, che non potranno che essere la presa d’atto della sospensione, e successive determinazioni, come, ad esempio, la nomina del vice-presidente da parte del Consiglio, il quale poi nominerà la giunta. Sarebbe questa la soluzione che più di ogni altra sembra soddisfare l’esigenza di assicurare «la continuità dell’indirizzo politico emerso dalle consultazioni elettorali e garantire il funzionamento degli organi, esigenza questa presidiata dalla Carta costituzionale», secondo il parere dell’Avvocatura dello Stato richiesto su questo tema.
L’automatismo della sospensione è comprovato dal termine usato dalla legge che, a proposito del potere-dovere attribuito al presidente del consiglio dei ministri di emettere il decreto, parla testualmente di un provvedimento che «accerta» la sospensione, un provvedimento di carattere ricognitivo, non dichiarativo, privo di alcun margine di discrezionalità. Avevo anche detto, prevedendo i successivi sviluppi della vicenda, che un eventuale intervento normativo per neutralizzare in tutto o in parte il comando della legge, sarebbe stato un intervento “ad personam”, intollerabile sotto il profilo politico, quanto illegittimo sotto quello costituzionale. E, dopo gli iniziali propositi in questo senso, ha prevalso la ragione del diritto e il decreto di sospensione è stato adottato. Prima di questo passaggio, il governo ha richiesto il parere dell’avvocatura dello Stato, secondo il quale, a parere di alcuni commentatori (ma non disponiamo del testo integrale del parere dell’avvocatura di Stato) sarebbe necessario emettere un decreto legge per consentire a De Luca di insediarsi, nominare un vice-presidente, formare la giunta. Se le cose stanno così, è ovvio che, in mancanza di decreto, tutto questo non sarà possibile, neppure se il presidente del Consiglio ritenesse il contrario. La verità è invece, come hanno ribadito autorevoli giuristi (e cito per tutti Gianluigi Pellegrino e Giovanni Maria Flick), che, se il presidente sospeso provasse a formare la giunta e a nominare il vice-presidente, destinato poi assumere la reggenza, compirebbe il più importante atto di governo del suo mandato, cioè la scelta del suo successore e la nomina degli assessori, senza averne i poteri, abusivamente. Sarebbero nomine nulle, in quanto eseguite da presidente privo delle funzioni, viziate insanabilmente da inesistenza, ipotesi ancora più grave della nullità. Uno dei casi è quello dell’atto compiuto dall’usurpatore di pubbliche funzioni.
E qui intervengono le norme del codice penale, al quale sarebbe bene che i politici (in primis presidente del consiglio dei ministri Renzi e presidente della giunta De Luca) riservassero di tanto in tanto un’accorta lettura senza attendere di trovarli citati nell’intestazione dei provvedimenti giudiziari emessi a loro carico. Se si va a leggere l’art. 347 del codice penale si scoprirà che, al secondo comma, si prevede la pena sino a due anni di reclusione per il pubblico ufficiale (e il presidente incaricato indubbiamente lo è) che, avendo ricevuto partecipazione del provvedimento che fa cessare o sospendere le sue funzioni o le sue attribuzioni, continua ad esercitarle. Dal momento che nessuno dei numerosi commentatori ha toccato questo aspetto, è sembrato opportuno rammentarlo perché di non trascurabile rilievo.
In conclusione, se si vuole instaurare nelle istituzioni un sistema di prevenzione contro l’illegalità e la corruzione, non ci sono soluzioni alternative alla rigorosa applicazione di una legge, per la quale si è registrata una unanimità di consensi a livello parlamentare e di favorevoli commenti da parte delle istituzioni europee. Che poi, tra i candidati e gli eletti vi siano personaggi dallo spessore morale assai discutibile è cosa preoccupante, ma che non sembra possa essere assunto quale criterio di selezione in mancanza di verifiche giudiziarie sia pure non definitive. Assumere una linea garantista impropria a livello politico (quella che vorrebbe legare la responsabilità politica solo ad una condanna divenuta irrevocabile) per poi auspicarne altra fondata solo sulle voci correnti e su indiscrezioni giornalistiche, è una contraddizione in termini, che punta solo a confondere l’opinione pubblica per conservare l’impunità che caratterizza, purtroppo, il mondo della politica. La recente operazione giudiziaria “Erga omnes” a carico di ex consiglieri regionali, indagati per l’utilizzo personale dei fondi riservati ai gruppi regionali, e oggi divenuti assessori, dimostra ancora una volta l’incapacità di operare alcuna selezione di personale politico che non sia collegata a iniziative dell’autorità giudiziaria, in barba ai propositi di ripristinare il primato della politica rispetto alla magistratura. Primato nel rispristino della legalità, si intende, perché per il resto il primato è indiscutibile.

*magistrato

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