Nel Pd inizia a nutrirsi una qualche speranza, a respirare quasi un’aria salubre. Diventa più partito, o almeno lo si spera, ove tenere ovviamente conto dei pesi interni. Ci si fa carico delle responsabilità politiche pregresse che hanno portato la Calabria alle attuali latitudini del disastro. Si ha rispetto, nell’attesa delle verità, per le decisioni della magistratura inquirente. Si lasciano gli esponenti politici raggiunti da misure restrittive e gli indagati all’esercizio delle loro rispettive difese, sperando che riescano a dimostrare il contrario di quanto ha fatto il giudice reggino.
Su tutto, finalmente si decide di decidere!
Ai calabresi ancora una volta sconfitti – nauseati di ciò che è stato, arrabbiati per il tempo lasciato correre inutilmente e preoccupati per le decisioni che saranno assunte – rimangono due strade. Quella di andare via oppure rimanere. Quanto a quest’ultima opzione, obbligatoria per la quasi maggioranza di corregionali che non saprebbero ove rifugiarsi, rappresenta un impegno improbo. Per sostenerlo dovranno credere nel cambiamento nonostante l’insufficienza all’orizzonte di attori ideali. Dovranno quindi assicurare il massimo della loro partecipazione e del controllo sociale alla vita politica per tradurlo in realtà. Dovranno, infine, pregare il Padreterno perché lo si realizzi a prescindere dai vizi consumati sino ad oggi.
Insomma, un compito difficile per Mario Oliverio, con i suoi convincimenti forse da rivedere rispetto a quelli importati dalla Provincia che è tutt’altra cosa rispetto alla Regione, ove si programma e si legifera. Ove si ha l’esigenza improrogabile di farla diventare una istituzione leggera piuttosto che ingombrarla di quel ruolo amministrativo utile solo a mantenere “sotto scopa” amministratori locali e utenti dei servizi pubblici, sanità in primis.
Tutto gli sta cadendo addosso, volente o nolente. In questo momento particolarmente difficile, dovrà ricorrere a tutti i pregi del “montanaro”, mettendone da parte i difetti. Soprattutto quelli che gli consigliano di chiudersi nel suo pensatoio e decidere solo sulla base della fiducia storica, della “lealtà” certificata da anni di convivenza istituzionale. Il rischio è quello – e i fatti lo dimostrano – di auto-generare il più grave errore che un politico possa commettere: quello di ipotesi. Quell’errore che autorizza ad elaborare tesi che, proprio perché viziate nei presupposti motivazionali, generano “mostri e disastri” (per dirla alla Goya). Questo è il momento nel quale il governatore, uomo onesto ma caparbio, si gioca tutto. Non solo. Dalle sue scelte dipenderanno le soluzioni e, con esse, il futuro della Calabria dei calabresi, altrimenti a rischio di definitiva “sepoltura”.
Il problema è quello di imparare, da subito, a fare i conti con ciò che è la Calabria di oggi e con quello che offre in termini di risorse da impiegare, sia sotto il profilo dirigenziale che politico. Di conseguenza, consuntiverà tanti problemi e poche soluzioni. Dovrà pertanto lavorare su queste ultime per evitare – ricorrendo alle migliori energie presenti in Consiglio, sul territorio e non solo – che la Calabria continui ad essere la Grecia dell’Italia, con una chiara vocazione per il default. Una regione piena zeppa di dipendenti pubblici e del suo indotto, che sanno poco di ciò che occorre per rinascere. Una regione con una sanità piena zeppa di impiegati amministrativi e vuota di operatori della salute. Una regione fatta di imprese che sopravvivono solo perché qualcuno assicura loro il lavoro spesso al di fuori delle regole della legalità. Una regione con tanti giovani senza lavoro, cui tanti nonni garantiscono loro la paghetta, e tanti padri che lo hanno perduto per sempre. Una regione che ha da decenni il suo punto di forza “produttivo” nelle prebende derivanti dalla previdenza non contributiva: al secolo pensioni di invalidità e assegni di accompagnamento che non si sono rifiutati ad alcuno!
Su tutto, dovrà elaborare un programma, da realizzare gradualmente, che incida favorevolmente sulle debolezze del sistema produttivo, lato sensu. Dovrà essere bravo a rinegoziare con il governo centrale la rivisitazione del piano di rientro della sanità, favorendo nell’occasione il ripristino della legalità e il ritorno alle decisioni democratiche del Consiglio, illegittimamente emarginato nel suo ruolo istituzionale di assumere le decisioni che incidono sul nostro futuro salutare.
Insomma, Mario Oliverio dovrà fare ciò che sa fare e che non ha fatto, forse perché doverosamente impaurito della nuova esperienza e interdetto da “sorprese” (in)immaginabili!
*Docente Unical
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