I giornali hanno, spesso, diversi atteggiamenti rispetto alle inchieste delle Procure. Questo aspetto è riassunto in una frase del direttore del Corriere della Calabria e del Velino, Paolo Pollichieni: «C’è un giornalismo che attacca le Procure per quello che non fanno e c’è un giornalismo che attacca le Procure per quello che fanno». Questa valutazione, secondo l’Antimafia, «inquadra uno dei problemi più gravi dell’informazione in Calabria e sulla Calabria: i giornali sono a volte più uno strumento di battaglia politica e giudiziaria che un modo per raccontare e conoscere la realtà. Con giornalisti che si sono anche prestati, consapevolmente o inconsapevolmente, ad autentiche campagne stampa, ideate all’interno delle cosche della ‘ndrangheta per delegittimare collaboratrici e collaboratori di giustizia, magistrati ed esponenti delle forze di polizia». L’audizione di Pollichieni – si legge nel documento – è stata l’occasione per ricostruire «il modo in cui si è modificato in Calabria il rapporto tra l’informazione e la ‘ndrangheta. E in particolare, la determinazione delle cosche mafiose di pretendere dai giornalisti il medesimo sentimento di “rispetto” preteso da molte altre categorie sociali». E qualche collega si presta al tentativo di condizionamento: «La sovraesposizione di alcuni giornalisti è spesso frutto, come in ogni categoria – dalla polizia ai magistrati, alla politica, agli amministratori locali – anche e soprattutto del comportamento di altri giornalisti».
IL CASO “CALABRIA ORA” Inevitabile aprire il vaso di Pandora del “caso Calabria Ora”. Lo fa ancora Pollichieni davanti alle domande del Comitato che si occupa di redigere la relazione. L’ex direttore del quotidiano nato nel 2006 racconta il suo addio alla testata. Prima il tentativo dell’editore di «mettere mano nel giornale», poi l’editoriale di commiato: «Nell’ultimo giorno in cui io scrivo, redigo il mio editoriale, in cui spiego pubblicamente le ragioni. Non è mai successo in Calabria e questo lo rivendico. Non ce ne siamo andati in punta di piedi. Abbiamo detto: “Ce ne andiamo perché la linea del giornale è questa”. […] Scrivemmo anche quel giorno uno scoop, che è stato poi ripreso da molti, sugli incontri milanesi, su Paolo Martino e Giuseppe Scopelliti. Paolo Martino, per capirci, è stato condannato con sentenza definitiva e ha anche collaborato, dopo altre condanne che ha avuto. Era ambasciatore delle cosche della ‘ndrangheta reggina a Milano… Quella sera fu la prima volta che la tipografia De Rose si guastò […] per il fondo col quale noi lasciavamo il giornale e per l’articolo di Paolo Martino assieme a Scopelliti. Il tipografo, che aveva questa tipografia con un tasso di “sensibilità” molto alto, subito dopo venne nominato da Scopelliti presidente della Fincalabra».
ADDII E LICENZIAMENTI L’addio di Pollichieni coincide con l’arrivo di Piero Sansonetti, al quale la commissione dedica molti passaggi. Il primo è quello che si occupa della vicenda del licenziamento di Lucio Musolino. Il cronista reggino, che oggi è un giornalista del Fatto Quotidiano, dopo le dimissioni di Pollichieni da Calabria Ora, riceve un biglietto di minacce, “condito” con una bottiglia di benzina. Intanto, dopo l’episodio, l’editore del giornale e Sansonetti lo invitano «ad accettare un trasferimento a Lamezia Terme o a Catanzaro». Inizia uno scontro che cresce «fino ad arrivare al fatto che i pezzi che mandavo alla redazione centrale il giorno dopo venivano pubblicati con i nomi cancellati, nei verbali dei pentiti venivano modificate le dichiarazioni…». L’escalation porta al licenziamento del giornalista, dopo una puntata di “Annozero” nella quale Musolino racconta la sua esperienza. Il sindacato resta al suo fianco e il giornalista torna ancora ai giorni delle dimissioni dell’ex direttore: «C’era un forte legame con il direttore Pollichieni, che è stato capace a Calabria Ora di creare una squadra che funzionava bene; ogni singolo componente della squadra era legato con il direttore anche dal punto di vista affettivo, non solo professionale. Non c’era solo un rapporto di lavoro. L’atteggiamento dell’editore nei confronti del direttore è stato sentito dai colleghi come un atteggiamento nei confronti di tutta la redazione. Non nego che anche io in quel giorno – lo ripeto, appresa la notizia delle imminenti dimissioni sono andato a Cosenza – quando ho saputo che anche altri otto colleghi volevano dimettersi ero pronto a fare la stessa scelta. A fermarmi è stato lo stesso Pollichieni, che mi ha detto: «non perdere il tuo posto di lavoro, se noi riusciamo a fare un altro giornale poi vieni con noi».
L’AUDIZIONE DI SANSONETTI La lunga audizione di Sansonetti serve a riportare la sua versione sulla faccenda: « Entrai rapidamente in scontro con Musolino per motivi professionali. Non riuscivo a dirigere. Io gli chiedevo di fare il cronista e lui commentava. Ci furono rapporti molto difficili tra lui e la redazione, in particolare quelle di Reggio Calabria e di Cosenza. In quella fase, durante una ristrutturazione del giornale proposi a Musolino, se non ricordo male, di andare a Lamezia, perché volevamo rafforzare la redazione di Lamezia. Adesso non ricordo benissimo, anche perché erano i primissimi tempi che ero lì. Credo che tutto ciò avvenga nel primo mese e mezzo della mia permanenza a Calabria Ora. Ricordo una sua risposta al telefono, che penso lui stesso abbia confermato, che mi fece molto arrabbiare, perché mi disse che la mia proposta era irricevibile in quanto veniva dalla ‘ndrangheta». Il presidente della Commissione incalza: «Generalmente, come almeno è stato detto da diversi direttori, quando un giornalista è stato minacciato, fanno di tutto perché non vada via» e cerca di ricostruire in termini oggettivi la storia: «Abbiamo il direttore del giornale che si dimette, otto giornalisti che si dimettono, in quei giorni Musolino riceve una minaccia precisa e personale e poi gli viene proposto un trasferimento: ci piacerebbe capire come questa concatenazione, fino alla richiesta del trasferimento, sia stata valutata dalla direzione». E domanda al direttore: «Ma la preoccupazione per le sorti personali, la salute fisica, l’incolumità di Musolino è mai stata presente?». E Sansonetti replica: «Sono andato a fare il direttore lì, non il poliziotto. Sono andato a fare il direttore e ho cercato di fare le cose… E ho ritenuto ragionevole spostarlo per evitare gli screzi, evitargli la situazione che si era creata ed evitare anche la situazione di grande difficoltà che c’era nei rapporti con l’editore, con la redazione in cui lavorava, di Reggio Calabria, e con gli altri giornalisti».
LE ROTATIVE GUASTE E LA VIOLENZA PRIVATA C’è anche una “fase due” del caso Calabria Ora. Riguarda il cambio di testata (diventerà L’Ora della Calabria) e la fine delle pubblicazioni. Accade tutto in seguito alla telefonata (registrata dall’allora direttore della testata Luciano Regolo), divenuta ormai un cult, tra l’editore Alfredo Citrigno, figlio di Pietro, primo proprietario del giornale, e lo stampatore Umberto De Rose, che gli chiede di bloccare una notizia che riguarda il figlio del senatore Antonio Gentile. Anche in quel caso, le rotative di De Rose si bloccano. E inizia lo “sprofondo” del giornale, che in marzo non sarà più pubblicato.
Due mesi dopo, il 26 maggio 2014, i beni della famiglia Citrigno verranno confiscati. Ed è soltanto uno dei guai giudiziari, per l’editore, chiamato anche a rispondere di violenza privata nei confronti di Alessandro Bozzo, il giornalista di Calabria Ora che si è tolto la vita, appena quarantenne, il 15 marzo 2013. Secondo i magistrati della Procura di Cosenza, che ne hanno disposto il 28 gennaio 2014 il decreto di citazione diretta a giudizio, Citrigno avrebbe imposto al giornalista, «mediante minaccia», a rinunciare ai benefici del contratto di lavoro a tempo indeterminato come cond
izione per conservare il posto al giornale.
p. p. p.
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