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ECLISSI 2 | Le mani della 'ndrangheta su San Ferdinando

REGGIO CALABRIA REGGIO CALABRIA «I risultati raggiunti da questa operazione si basano sulle acquisizioni dell’ottobre scorso. Via via che acquisiamo nuovi elementi, proseguiamo con nuove misur…

Pubblicato il: 02/07/2015 – 6:07
ECLISSI 2 | Le mani della 'ndrangheta su San Ferdinando

REGGIO CALABRIA REGGIO CALABRIA «I risultati raggiunti da questa operazione si basano sulle acquisizioni dell’ottobre scorso. Via via che acquisiamo nuovi elementi, proseguiamo con nuove misure. Quindi anche sul fronte della politica attendiamo nuovi sviluppi». Riferisce sugli esiti dell’indagini Eclissi 2, ma sembra annunciare per il futuro un’operazione Eclissi 3, il procuratore capo della Dda di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, che nel lasciarsi sfuggire che su S. Ferdinando le indagini non si fermano, conferma la costante attenzione di investigatori e inquirenti nei confronti di alcuni territori come la Piana di Gioia Tauro. «Si tratta – spiega il procuratore – di zone di radicamento di cosche storiche, con legami profondi con il territorio in cui operano. I clan Bellocco-Cimato e Pesce-Pantano, radicati entrambi a San Ferdinando, per anni hanno alternato periodi di tregua e periodi di frizione, fin quando non hanno trovato terreni di intesa comune negli affari».

Satelliti criminali dei più noti clan Bellocco e Pesce, che da decenni si spartiscono Rosarno, erano arrivati a controllare persino l’amministrazione del piccolo centro della Piana. E se il sindaco dell’epoca – finito nell’ottobre scorso ai domiciliari, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa – si barcamenava tra i desiderata criminali dei due clan, sempre attento a non scontentare nessuno, le due famiglie mafiose potevano contare sui propri rappresentanti nell’amministrazione, Santo Celi per i Bellocco- Cimato, e Giovanni Pantano, per i Pesce – Pantano. Proprio quest’ultimo, consigliere d’opposizione della lista “Futuro migliore”, noto per aver fondato il meet up dei Cinque Stelle di San Ferdinando, ma dopo l’arresto sconfessato dai pentastellati, era stato scarcerato per mero errore tecnico ed è stato oggi colpito da una nuova ordinanza di custodia cautelare. Insieme a lui, sono finite in manette altre dieci persone, ritenute a vario titolo vicine alle due famiglie. Di alcuni c’era già traccia nella prima operazione Eclissi. Le cimici li avevano infatti registrati mentre, con fare accorto, pulivano o scarrellavano armi, in attesa di trovare un luogo adatto per provarle, lontano dagli occhi delle telecamere.

Altri invece, continua il procuratore Cafiero de Raho «sono attivi nel settore del commercio di droga», gestito da entrambe le famiglie mafiose, chiarisce il capitano Francesco Cinnirella, comandante della compagnia di Gioia Tauro. «Sono stati materialmente osservati uomini di entrambi i clan mentre si recano in un esercizio commerciale riconducibile a entrambe le famiglie per pianificare la spedizione di un carico di marijuana sull’asse Puglia-Calabria, in accordo con soggetti del locale di San Luca» aggiunge il capitano, che è sottolinea «nel corso delle indagini sono emersi nuovi soggetti che in precedenza non erano stati attenzionati e questo dimostra come le famiglie abbiano immediata capacità di riespandersi sul territorio». Ma l’arresto più importante e forse quello più difficile per i colleghi che su di lui hanno dovuto indagare è stato quello dell’appuntato Pasquale Sannuto, già individuato come “talpa” nel corso della prima operazione Eclissi. A darne notizia è stato lo stesso procuratore de Raho , che senza indugio alcuno ha dichiarato: «Tra le persone raggiunte da provvedimento di arresti domiciliari c’è anche un appuntato dei carabinieri, Pasquale Sannuto, che ha agevolato il clan rivelando indiscrezioni investigative. È accusato di rivelazione di segreto d’ufficio, falso e favoreggiamento personale aggravati dall’articolo sette».

Il nome del militare era già emerso nel corso di un’intercettazione che aveva insospettito i carabinieri perchè, non casualmente, corrispondeva esattamente a quello di un collega che si era rifiutato di essere coinvolto nelle attività di indagine, asserendo di preferire il servizio di pattuglia sul territorio. Per gli investigatori, sarebbe stato proprio lui a passare regolarmente informazione ai maggiorenti del clan, che in questo modo erano in grado di conoscere anche i dettagli operativi dell’indagine, come il numero e il luogo di ubicazione di telecamere installate dagli inquirenti.

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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